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Philadelphia

Regia di Jonathan Demme vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Philadelphia

di kotrab
8 stelle

J. Demme e il suo sceneggiatore Ron Nyswater hanno avuto l'onore di far nascere il primo film ad alto budget che ha affrontato di petto i temi dell'omosessualità e dell'AIDS, una svolta in quel di Hollywood, che sia dovuta o no a motivi più o meno opportunistici, fatto sta che da qui ha cominciato a mettere una pezza sui buchi delle dissimulazioni e dei sotterfugi. Certo, la "fabbrica dei sogni" ha un modo di concepire il cinema abbastanza ambiguo, una tipologia che deve riuscire a piacere a più persone possibile influendo su scelte che purtroppo lasciano il film lontano dal capolavoro.
Non un capolavoro, ma indubbiamente un buon film di ammirevole fattura tecnica e artistica: una sceneggiatura fluida e corposa già molto lodata (di cui tuttavia ho qualche piccolo dubbio sulla effettiva credibilità del processo, nonostante la mia incompetenza del settore), un'ambientazione simbolica riuscita (la città della Costituzione e in cui dovrebbe regnare naturalmente l'amore fraterno), un cast eccellente e ottimamente affiatato, una storia impegnata non solo nella giustizia del singolo protagonista, ma contro tutte le ingiustizie e che fa da lezione e monito contro le radicate concezioni arroccate sui luoghi comuni, sulle visioni parziali e sui soliti pregiudizi e moralismi alimentati dal timore, dal pettegolezzo e dalle convenzioni inattaccabili.
Demme dà sicuramente il tocco decisivo sotto l'aspetto stilistico e affabulatorio proprio grazie al suo intreccio di classica narrazione di genere (il dramma processuale) e impegno sociale "documentaristico", una narrazione che interpella direttamente il pubblico non solo per mezzo di interrogativi "pesanti" sui diritti umani che sembrano ormai acquisiti, ma anche con l'uso della mdp che si sovrappone allo sguardo dello spettatore, o interponendosi (l'inizio del processo in cui D. Washington guarda verso la cinepresa-giuria, coinvolgendo anche il pubblico al di qua dello schermo in modo esplicito e quasi imbarazzante), o ricorrendo a soggettive indirette e immagini affezione. Lo stile perlopiù scevro da manipolazioni eccessive della verosimiglianza, a rischio però di monotonia, trova una felice increspatura nella famosa scena dell'estasi di Andrew (T. Hanks) su un'aria di Umberto Giordano (da Andrea Chénier), dove l'emozione è garantita dalla musica, dal commento, dalla luce irrealistica e dal punto di vista in contrasto con quello effettivo di D. Washington, a sua volta immerso nell'ulteriore evoluzione della propria coscienza, come lo spettatore. Non è nemmeno un caso, credo, che il difensore di Andrew sia un uomo di colore, quindi un uomo che conosce il passato della sua razza e che non vuole ricadere in altre trappole discriminatorie.
Detto questo, Philadelphia non mi ha nemmeno entusiasmato per questa concezione un pò troppo divisa tra accusatori e accusati (anche se per fortuna non rientra del tutto in una visione manicheistica), per una correttezza leggermente troppo prudente e per un evitabile indugio nella retorica del finale con i film amatoriali sull'infanzia di Andrew. 7 1/2

Sulla colonna sonora

Molto variegata, da W. A. Mozart a U. Giordano, da B. Springsteen a N. Young ecc.

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