Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Bologna nel 1948: tra il Pavaglione e via Castiglione, tra il liceo Parini e il cortile-luogo di ritrovo di una vecchia palazzina borghese, tra le feste improvvisate, le cene in famiglia e gli eterni battibecchi tra vicini democristiani e comunisti, si consumano i primi amori e le prime fantasie sessuali di un gruppo di adolescenti. Il protagonista, Dado, quindicenne piccolo-borghese con un padre impiegato innamorato della pittura, una famiglia allargata con tanto di zia baffuta e un'altra, più giovane, che attende ancora il ritorno del fidanzato disperso in guerra, è Pupi Avati, regista del ricordo e della tenerezza amarognola, che passano attraverso accurati spaccati d'epoca. Pupi Avati che ricorda il suo primo amore, la Sandra Gordini, un po' più ricca e un po' più precoce di lui, baciata sulle labbra per una penitenza (dire, fare, baciare, ecc., ecc.), mai dimenticata, uccisa molti anni dopo dalla gelosia del marito. Dichiarazioni d'amore (non solo alla Sandra, ma alle altre ragazze che Dado corteggia con regali assurdi e maestosi, cesti di fiori o intere enciclopedie, comprati con soldi rubati in famiglia) funziona bene nella parte d'epoca, con le solite figurine giuste che danno il sapore di una volta, Carlo Delle piane che fa il pazzo del condominio, Dino Sarti che fa l'idraulico che canta in cortile le canzoni di Lelio Luttazzi, il sarto muto che la domenica vende L'Unità porta a porta, la sfilata dei professori del liceo. Funzionano i battibecchi familiari e il gergo anni ’50, gli scherzi cretini e impacciati dei ragazzini, soprattutto le canzonette, scelte con la solita cura puntigliosa. Quello che purtroppo non funziona è l'irruzione, improvvisa e ripetuta, della parte moderna, dei frammenti della vita adulta della Sandra, signora dall'aria dolce e sempre giovane (Delia Boccardo), ma rosa dentro dall'insoddisfazione e dalle nevrosi. Questa Bologna di bar luccicanti e di incroci stradali anonimi sembra finta e ricostruita e, tutto sommato, non riusciamo ad appassionarci un granché alla storia triste della signora con le calze rosse (un particolare che segna il primo passaggio temporale in avanti del film), raccontata da Avati con uno stile piuttosto piatto, quasi che tutto il suo affetto si fosse concentrato sul passato.
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