Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Quadretto impregnato di nostalgia, di quelli che Avati sa disegnare, nel nome di una provincia allegra, vivace, esuberante come era la Bologna in cui è cresciuto il regista. Il paragone più facile non è tanto quello scontato con l'Amarcord felliniano (autore da cui Avati prende il gusto della macchietta, del personaggio buffo e della gag-tormentone emblematici della vita di paese), bensì con il suo surrogato espresso in Radio days di Woody Allen: la presenza delle musiche era là senz'altro più forte, ma anche qui la colonna sonora ha un ruolo di primaria importanza. E, piuttosto del gusto per la costruzione corale, della situazione insomma (felliniano), prevale quello per il dettaglio, per il personaggio, più alleniano. Al di là di queste considerazioni che lasciano il tempo che trovano, Dichiarazioni d'amore (scritto dallo stesso regista) è una buona commedia agrodolce ed una 'dichiarazione d'amore' alla Bologna in cui Avati ha trascorso gli anni del protagonista del film; fra gli interpreti i nomi famosi non abbondano (se si escludono Valeria Fabrizi, Ivano Marescotti ed una particina per Carlo Delle Piane), ma il regista sa sempre come fare rendere al suo meglio ciascun interprete. Curiosa - ma non azzeccatissima - la scelta di proiettare i due protagonisti principali al presente e di dare un finale 'nero' alla storia, scelta che sicuramente è originale, ma finisce per stonare, sembrare posticcia, aggiunta di forza. 5,5/10.
Secondo dopoguerra, Bologna. Dado frequenta il liceo e, fra una noiosa lezione e una bravata (fra le quali un furto ai danni dei vicini di casa), si innamora di Sandra. Quasi mezzo secolo dopo, Dado è un marito geloso e Sandra la sua esasperata moglie.
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