Regia di Jon Watts vedi scheda film
Ci vuole del coraggio a riprendere in mano il medesimo personaggio per la terza volta nell’arco di soli quindici anni, ma questa volta alla Sony, sfruttando la partnership con la Marvel, hanno fatto le cose per bene, quando era più facile scommettere contro.
Conscio dell’impossibilità di replicare il primo adattamento operato da Sam Raimi e della necessità di dover stare il più lontano possibile dalla versione di Marc Webb, Jon Watts (Clown, Cop car), aiutato da un folto gruppo di sceneggiatori e supervisionato dal tentacolare Kevin Feige, svecchia e ammoderna il soggetto realizzando un film in sintonia con i millennials, tentando comunque di adulare anche i fan un po’ più datati con qualche particolare inserito con lungimiranza, trovando nel panorama Marvel un’oasi tutelare.
Niente di miracoloso, non fosse che a guardarsi indietro, ma anche attorno, si replica con ostinazione senza attuare particolari cambi, invece presenti in quantità massiccia in Spiderman: Homecoming, che possiede una ritrovata freschezza e un discreto controllo, con uno spirito che affianca al grande budget, quella spensieratezza formativa tipica dell’adolescenza.
Sotto la tutela di Tony Stark (Robert Downey jr.), Peter Parker (Tom Holland) cerca di far convivere la sua adolescenza, uguale a tante altre, con le opportunità offerte dalla sua nuova condizione, coadiuvata da un costume high tech nuovo di zecca.
Quando, per puro caso, s’imbatte nelle armi potenzialmente devastanti di Avvoltoio (Michael Keaton), non può limitarsi a contrastare i piccoli furtarelli di quartiere ed entra in azione, nonostante Tony Stark lo spinga a mollare tutto.
Anche trovatosi solo, e privato dei nuovi appoggi, Peter non ha intenzione di rinunciare alla sua missione.
Se il primo Spiderman versione Sam Raimi, grazie a un lavoro preciso e spettacolare, aveva dato il via alle danze dei supereroi, e il secondo pilotato da Marc Webb spaziava tra un romanticismo eccessivo ed effetti speciali completamente fuori controllo (l’inqualificabile The amazing spiderman 2 – Il potere di Electro), qualora proprio carenti (The amazing spiderman), Spiderman: Homecoming riesce a trovare una sua precisa collocazione, sfruttando appieno le potenzialità Marvel, avendo la fortuna di non essere un vero e proprio Marvel movie.
Scevro dalla necessità di dover riformulare la nascita di Spiderman, approccia subito la parte tossica della vicenda, con una genesi sociale accattivante che vede i soliti noti (Tony Stark è abituato a prendersi tutto) mietere vittime e generare involontariamente nuovi mostri.
Da qui, l’attenzione si sposta sul mondo di Peter Parker, con un approccio pov che sembra una sviolinata, per poi procedere con l’intessitura di uno spartito prevalentemente teen comedy che rivolta come un calzino le consuetudini dell’uomo ragno al cinema, irriverente ma senza sgravare (vedi Deadpool), divertente ma senza trasformarsi in una carnevalata.
Approfittando della sua (primaria) natura adolescenziale, ad esempio per i segreti che non si possono mantenere e ancor prima per uno sguardo perennemente curioso ed esclamativo, con cascami provenienti dal cinema teen di varie stagioni cinematografiche, lo sviluppo acquista un passo agile e anche il confronto centrale tra bene e male, che nel nucleo fondante non aggiunge novità, si avvale di un numero contenuto di scene spettacolari - tre, una in cielo, una in acqua e un’altra sulla terraferma, tutto pare calcolato alla virgola -, che per di più manifestano, non solo l’utilizzo della massima tecnologia ma anche un controllo invidiabile, che consente di non andare fuori giri.
Il resto viene direttamente dai due protagonisti: Tom Holland è stata una bella pescata, ha l’entusiasmo nello sguardo e un’incoscienza non vana, mentre Michael Keaton rimane in zona volatili (Birdman), passando dalla parte del male (i tempi di Batman sono lontani). I due non sono protagonisti solo di botte da orbi, con lo stesso Spiderman destinato a prenderle di santa ragione tra un’acrobazia e l’altra, ma anche di un inatteso incontro civile dal sapore comedy anni ottanta, con Michael Keaton che non lesina sorrisi tutto fuorché rassicuranti.
Al loro fianco, dopo aver fatto lievitare anche gli incassi di Captain America, Robert Downey jr. si conferma un fattore non trascurabile, Marisa Tomei è una sexy zia May, Jon Favreau procede a comando, mentre è un peccato non aver attribuito sviluppo alcuno al personaggio assegnato a Donald Glover.
Aggiungendo un vivace sottobosco tra gli amici di Peter, come il suo braccio destro, nerd e geek, due scene sui pastosi titoli di coda, una di pura routine (francamente inutile) e un’altra sfiziosa e consona al momento della visione, un po’ di beneamato sarcasmo, condiviso da Avvoltoio e la voce di assistenza del costume, in originale di Jennifer Connelly, e messaggi decorativi (oltre il costume, conta l’uomo), la ripulita non sarà forse rigenerante, ma sicuramente rinfresca per bene l’ambiente.
Con in canna una pentalogia, che dovrà comunque riuscire a maturare senza ripetere ciò che in un lampo diventa topoi, la ripartenza di Spiderman è avvenuta con il vento in poppa, qualche livido sulla pelle, un armamentario di ragnatele, tutte da provare, un’oscillazione tra doveri e piaceri (a volte, il dovere è puro piacere), con una bella predisposizione per il cazzeggio.
Attento Tony, Peter potrebbe farti le scarpe.
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