Regia di Nanni Moretti vedi scheda film
Potrebbe essere considerato l’anticamera della crisi dell’autore, acutizzata poi nel successivo Aprile. L’impianto ad episodi e la struttura dei racconti ce lo suggerisce. Ma Caro diario non può e non deve essere liquidato come un normale film di transizione. Perché semplicemente non lo è. Nanni è Nanni nella sua totalità, non indossa più la maschera di Michele Apicella. Ora è lui a mettersi in gioco, la scena se la riserva per tutto se stesso nella sua complessità. Non sappiamo se tenga un diario nella vita di tutti i giorni, ma ci interessa fino ad un certo punto. Eppure Caro diario in alcuni momenti sembra un film girato per caso, o meglio, la cattura di un quotidiano morettiano.
Il primo episodio raccontato al diario è In vespa, una scorazzata in motorino per le strade deserte della Roma estiva: salta da un quartiere all’altro commentando la bellezza delle case (sogna di fare un film di sole case capitoline); si fa una capatina nei pochissimi cinema aperti, in cui si trasmettono o film italiani minimalisti sulla crisi degli ex sessantottini (e lui si vanta di essere “uno splendido quarantenne”), o porno, o film dell’orrore – dopo aver visto e detestato Herny – Pioggia di sangue, va da un critico che ne ha parlato bene e lo “tortura” intellettualmente; contempla una massa di persone che balla salsa e merengue e confessa la propria passione per il ballo (“io ho sempre sognato di saper ballare”); incontra Jennifer Beals, protagonista del “film che mi ha cambiato la vita: Flashdance; fino ad arrivare al lungomare di Ostia, dove fu ucciso Pier Paolo Pasolini.
Nel secondo episodio, Isole, Nanni vorrebbe andarsene per un po’ dall’amico Gerardo, ritiratosi a Lipari per studiare l’Ulisse di Joyce, che odia la tv, per poter scrivere in santa pace la sceneggiatura del suo nuovo film. Comincia un peregrinare di isola in isola (Salina, dove si fanno solo figli unici; Stromboli; la selvaggia Alicudi; la terribile Panarea, dalla quale scappano a gambe levate), in cui Gerardo si converte a Beautiful e a Chi l’ha visto?, non potendone fare più a meno. Il terzo episodio, Medici, narra la vera odissea che Moretti visse per farsi curare un tumore benigno ai polmoni non riconosciuto dai medici ai quali si è rivolto e che gli hanno fatto comprare una caterva di medicinali.
Apparentemente, potrebbe sembrare il film più autobiografico di Nanni Moretti. In realtà, nel più e nel meno, parla di se stesso come ha sempre fatto, la novità più vistosa ed ingannevole è l’abbandono dell’alter ego per un coinvolgimento più immediato del protagonista. In In vespa, Nanni è un Nanni “universale”: certamente esprime propri concetti e pensieri su Roma, e soprattutto sul ballo – la confessione su Flashdance potrebbe turbare qualcuno – come esercizio liberatorio, ma è con il finale in omaggio a Pasolini che si fa portavoce di un sentimento collettivo, quasi per fare i conti col proprio passato generazionale – ma anche l’intermezzo del film italiano consiglia questa tesi. In Isole, è il Nanni più goliardico e dall’osservazione più ironica a prendere il sopravvento – nonostante il secondo omaggio alla danza, con un balletto sulle note de El negro zumbon di Anna con Silvana Mangano. È il capitolo più di finzione, il più divertente nella sua sottile e surreale vena comica, in cui tutto è visto con un certo spirito critico e divertito – da non perdere quando chiede informazioni, per conto di Gerardo, sugli sviluppi di Beautiful a dei turisti americani.
Medici è sì quello più autobiografico, ma è palpabile il distacco e la lucida freddezza con la quale Nanni tratta l’argomento, e anche qui un certo sarcasmo è sicuramente presente nell’acquisto delle medicine, nel bagno terapeutico, nei colloqui con i medici, nelle terapie dei cinesi. È inserita persino una sequenza autentica, una seduta di chemioterapia alla quale si è effettivamente sottoposto. Morale dell’ultima storia: l’unico insegnamento che ho avuto da questa vicenda è quella di bere un bicchiere d’acqua a stomaco vuoto, la mattina, perché fa bene ai reni. Insomma, è un film sentito e se vogliamo anche lontanamente onirico, ma soprattutto un’autoanalisi a carte scoperte, e la voce off è uno dei rari casi in cinematografia in cui si rivela necessaria, indispensabile, ineluttabile. Questo Moretti colto nel quotidiano, finito casualmente in un’opera filmica, sotto gli occhi di tutti, si è meritato il Premio della Regia al Festival di Cannes, e a tutt’oggi rimane il film più maturo, intimo, asciutto del Nanni prima de La stanza del figlio, il film che decreterà la fine di un presunto blocco autoriale e l’avvio di una nuova parte della sua fulgida carriera. Inevitabilmente.
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