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Voglio la testa di Garcia

Regia di Sam Peckinpah vedi scheda film

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La recensione su Voglio la testa di Garcia

di cheftony
8 stelle

“It’s really very simple: if you give us the information we want – as to where we can find Alfredo Garcia – we’ll give you a thousand dollars. If your information is wrong, you too are wrong. Dead wrong.”
“Well, you see, he’s a… friend of a friend! And I’d like to know what you want him for. […]”
“You’re interested in money, aren’t you? Money you can spend.”
“Yes, sir! Indirectly. I mean, there are other things, like I’d like to stay alive!”
“A loser…”
“Nobody loses all the time!”

 

Bring Me the Head of Alfredo Garcia

 

La giovanissima figlia di un potente e vile proprietario terriero messicano, detto El Jefe (Emilio Fernández), è rimasta incinta, sollevando la crudele ira paterna. Il nome dell’uomo che ha osato deflorarla viene estorto con l’umiliazione pubblica e con la violenza: si tratta di Alfredo Garcia, un tempo fidato dipendente presso l’hacienda. El Jefe ordina dunque ai suoi uomini di portargli la testa di Alfredo Garcia, dietro ricompensa di un milione di dollari.
Tlaquepaque, affollata bettola di Città del Messico: a suonare il piano, come ogni sera, c’è il gringo Bennie (Warren Oates), un veterano di guerra ritiratosi in Messico per condurre un’esistenza piatta, scanzonata e alticcia. Un paio di distinti emissari di El Jefe si presentano al bancone del bar e al pianoforte di Bennie a fare domande su Garcia, ma nessuno sembra averlo visto di recente.
Congedati i due avventori (nonché connazionali), Bennie si sincera di dove possa trovarsi il “ricercato” e scopre che questi ha avuto di recente una relazione di tre giorni con la sua amata Elita (Isela Vega), dalla quale apprende anche della repentina morte di Garcia a causa di un incidente automobilistico. Bennie si fa dunque promettere una ricompensa di 10’000 dollari dagli scagnozzi appena conosciuti per procurare loro la tanto ambita testa di Al Garcia, pur mantenendo il segreto sulla già avvenuta dipartita del donnaiolo in questione.
Bennie ed Elita si dirigono dunque verso il paese natale di Alfredo Garcia, dove il suo corpo è appena stato sepolto e pianto dai suoi cari. Quello che Bennie promette alla donna è un viaggio verso un futuro migliore all’insegna di matrimonio e felicità, grazie ai soldi che l’uomo otterrà dagli uomini di El Jefe portando loro la testa del cadavere.
Ma i due non sono soli e il loro viaggio sarà tortuoso e pieno di dolore…

 

Talk to the Head – Bring Me the Head of Alfredo Garcia | Max Tomlinson

 

“The movie is some kind of bizarre masterpiece. It's probably not a movie that most people would like.” [Roger Ebert]

 

Nel 1973 Sam Peckinpah non se la passava granché bene e la sua carriera si era ormai definitivamente guastata, tra alcolismo irrefrenabile e reputazione compromessa con produttori e addetti ai lavori. Reduce da due film come “The Getaway”crime thriller di mestiere ma sostanzialmente alimentare – e il tuttora ingiudicabile “Pat Garrett and Billy the Kid”, Bloody Sam va cercando bordelli e sbronze per sollazzarsi al di là del confine, in quel Messico lungamente vagheggiato e anelato persino dai protagonisti dei suoi film. Non solo: il regista nativo di Fresno, a suo tempo, ebbe modo di dire che laggiù poteva godere di una libertà creativa mai sperimentata prima fra televisione e Hollywood e pare che con questo film sia riuscito ad ottenere esattamente ciò che aveva in mente, svincolato da aspettative, critiche, final cut in mano ai produttori.
“Bring Me the Head of Alfredo Garcia” ha innanzitutto un titolo meraviglioso, ma anche una genesi abbastanza complicata: partito intorno al ‘70 da un’idea proposta a Peckinpah dal misconosciuto veterano Frank Kowalski, il progetto – già in fase di stallo – passa poi in mano allo sceneggiatore Gordon Dawson, che riesce in fretta e furia a redigere uno script assieme al regista. Fiducia, fondi e produzione giungono inaspettatamente dall’amico Martin Baum, grazie alla sua neonata casa Optimus Films e ad un co-produttore messicano. Anche la troupe a disposizione di Peckinpah è composta pressoché interamente da professionisti messicani; non saprei dire se la cosa abbia qualche legame con l’aspetto sporco e finanche grezzo del film, ma tant’è, visto che il tutto risulta comunque pertinente all’aria che si respira. Un’aria marcia, corrotta, rivoltante.

 

Bring Me the Head of Alfredo García Blu-ray (Screen Archives Entertainment  Exclusive)

 

Il protagonista è ancora una volta un perdente senza speranza, misero e dimenticato, che viene a contatto con un mondo brutale e si ritrova avvinto in una spirale di avidità e violenza senza fine. Una violenza del tutto superflua, giacché Garcia è morto e sepolto e la taglia sulla sua testa appare come un gigantesco nonsense, utile senz’altro a conferire potenza e orrore all’inevitabile e grottesco dramma di Bennie. Un disgraziato, pronto a disseppellire un cadavere e tagliarne la testa per una ricompensa spropositata, ma talmente pronto a tutto da ignorare la reale portata della paga promessa da un facoltoso e criminale hacendado, ben cento volte superiore a quella capace di portarlo alla deriva. Un maledetto che fa sorridere.
Senza speranza è anche la sua storia d’amore: Bennie ama Elita, donna dal mestiere poco chiaro (un crocevia fra la cameriera, la cantante e la prostituta) e dai sentimenti ambigui, in quanto fiamma – forse mai sopita – del fu Alfredo Garcia. La loro fuga on the road non punta direttamente alla felicità, ma in primis all’eponima testa e solo dopo, chissà, alla realizzazione di un amore che può avvenire solo attraverso il denaro e l’illusione. Il personaggio di Elita assume sfumature ancor più complesse grazie ad una sequenza di (tentato) stupro che vede protagonista Kris Kristofferson in una breve apparizione: ancora una volta, dopo la celebre e controversa scena di “Straw Dogs”, Peckinpah si attira polemiche conferendo alla vittima femminile un atteggiamento enigmatico, di condiscendenza e di sottile piacere. Nondimeno, la scena è caratterizzata da una luce plumbea a dir poco anomala.
Se il feeling fra i due protagonisti è innegabilmente superiore a quello instaurato fra Steve McQueen e l’inadatta Ali MacGraw in “The Getaway”, va detto che pure in questo caso il film non è da ricordare per la pur valida romance, quanto piuttosto per l’intensità dei dialoghi, per le sfrenate sparatorie e per la cruenta, allucinata e violentissima seconda parte: Warren Oates, laido e disperato fin oltre i suoi standard, sveste i panni del gregario di lusso e dà vita ad un antieroe folle, delirante, avviato verso l’autodistruzione. La caratterizzazione di Bennie, invero brillante, è palesemente basata sulla figura dello stesso Peckinpah, in qualche modo omaggiato e reso caricaturale dalla penna di Dawson: abito bianco via via sempre più lezzo, camicie sgargianti, Chevrolet Impala polverosa, bottiglia in mano, senso di disperazione e di incorreggibilità della sua rotta verso la fine. Inoltre, pare che gli occhiali da sole perennemente indossati da Oates appartenessero in realtà al regista, di cui Bennie è sostanzialmente un alter ego dannato, ripudiato e romantico.
“Bring Me the Head of Alfredo Garcia” è una specie di western contemporaneo rabbioso, debordante, discontinuo ed eccessivo: un’eccellente summa di quel che fu il miglior Sam Peckinpah ed un ultimo colpo di coda, dato che la morte occorsa nel 1984 gli lasciò giusto il tempo di marchiare una piccola manciata di titoli modesti e impersonali, rivalutati con fin troppa generosità negli anni successivi.

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