Regia di Sam Peckinpah vedi scheda film
Un ricco fazendero messicano ha la giovane figlia incinta, vuole sapere chi è stato, la umilia davanti alla sua “corte” strappandole il nome, Alfredo Garcia. Era un suo fidato dipendente, ora lo vuole morto e darà 10.000 dollari a chi gli porterà la testa. Un’organizzazione parallela viene incaricata di setacciare il Messico per trovare l’uomo. Bennie è il pianista americano di uno squallido night e si mostra interessato all’affare. Elita, una cantante prostituta, è la sua donna. Le confida di essere stata con Garcia, suo vecchio spasimante, una settimana prima e che è morto in un incidente stradale. Il piano del gringo è di trovare la tomba del defunto, tagliare la testa, incassare la taglia e vivere in pace con Elita. La strada che percorrerà Bennie per ottenere i 10.000 dollari sarà dolorosa e lastricata di morti. VOGLIO LA TESTA DI GARCIA è l’apoteosi del cinema di Peckinpah. “Buono o cattivo, bello o brutto, l’importante è che sia mio al 100 %” diceva Sam. I suoi personaggi si muovono in un Messico sporco e polveroso, povero e bellissimo. Essi agiscono ai giorni nostri ma è come se fossero nei western dismessi ufficialmente ma sempre presenti nel dna cinematografico dell’autore de IL MUCCHIO SELVAGGIO. Bennie è il tipico antieroe perdente, romantico e figlio di puttana, cinico e dolente del suo cinema. Film violento, squinternato, necrofilo ed eccessivo, fatto di brutti ceffi e auto scassate, dialoghi con la morte e vita randagia, vissuta e dall’alto tasso alcolico come le vite dello stesso Peckinpah e dell’amico Warren Oates (ottimo protagonista). Nel mondo illustrato (e decantato) dal regista non ci sono più regole, morale e non c’è spazio per gli happy end, solo anarchia e piombo. Eppure la storia d’amore tra Elita e Bennie, magari infelice e sofferta, è una delle cose più struggenti e belle della sua filmografia.
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