Regia di Richard Fleischer vedi scheda film
Nei titoli di testa l’auto dei due protagonisti non segue una linea retta, nel buio della notte sbanda pericolosamente come in balia di un vento invisibile, la musica di Lionel Newman (Oscar per Hello, Dolly!) li accompagna in questo viaggio schizofrenico dove al netto di qualche goccio d’alcol la follia già domina incontrastata.
Eppure l’esuberante Artie Strauss (Dillman) e il più introverso Judd Steiner (Stockwell) sono benvoluti da tutti, due ragazzi di belle speranze che studiano legge, giovani dalle menti brillanti e dall’intelletto superiore, ricchi, pieni d’interessi e insospettabili bravi ragazzi.
Peccato che la loro amicizia si alimenti di pensieri malsani, di una passione oscena per il delitto perfetto, cominciano con piccoli furti ma poi sono brividi di piacere quando tentano di investire un ubriaco, alla fine si decidono per il grande salto; nella freddezza di un esperimento scientifico rapiscono e uccidono un ragazzino di sedici anni, gli tolgono i vestiti e con l’acido gli deturpano il volto, poi lo gettano in un canale.
Ma la perfezione non è di questo mondo e a volte nemmeno i delitti, alla fine li beccano e li incastrano con prove schiaccianti, confessano e si accusano a vicenda pronti ad affrontare il processo e l’inevitabile impiccagione, la loro unica speranza è rappresentata dal famoso avvocato Jonathan Wilk (Orson Welles).
Richard Fleisher è un regista che ho sempre apprezzato molto, un fine artigiano della macchina da presa e un professionista esemplare, Terrore Cieco è uno dei miei thriller preferiti ma non è l’unico bel film in una filmografia che vanta diversi titoli interessanti.
Il suo cinema si è spesso legato alla cronaca nera portando sul grande schermo vicende criminali più o meno note, la figura dell’omicida o del killer seriale è stata protagonista di una trilogia abbastanza famosa composta da Frenesia del delitto, Lo strangolatore di Boston e L’assassino di Rillinton Place n. 10.
In questi film Fleisher ha sempre evidenziato una messa in scena molto rigorosa (quasi da resoconto giornalistico) evitando qualsiasi forma di spettacolarizzazione, sono pellicole sorrette da una fedele ricostruzione degli eventi e da uno studio attento della psicologia dei personaggi.
Frenesia del delitto è tratto dal romanzo di Meyer Levin (Compulsion) che a sua volta si ispirava al caso giudiziario di Nathan Leopold e Richard Loeb, due giovani e promettenti studenti che nella Chicago degli anni ‘20 uccisero un ragazzo convinti di poter compiere impuniti un delitto perfetto.
Nella prima parte della storia l’attenzione è tutta per i due giovani protagonisti, li vediamo muoversi con abile mimetismo tra lezioni universitarie, feste con gli amici e studiate fantasie di omicidio, sono due menti non comuni traviate (forse) dalla mal interpretazione della filosofia di Nietzsche (il concetto del superuomo), ma è chiaro che alla loro alienazione contribuisca in modo determinante un forte conflitto famigliare.
Nella seconda parte entra in scena Orson Welles è il film si trasforma in un sentito e a tratti epico trattato contro la pena di morte, il grande attore si prende la scena e diventa unico protagonista di un dramma giudiziario vigoroso, Welles è dirompente e la sua arringa finale colpisce per il suo forte impatto emotivo.
Il film di Fleisher genera inquietudine e sentimenti contrastanti, osservare la lucida e calcolata follia dei due assassini e il loro beffardo disprezzo per la vita non può che farceli odiare profondamente, li vediamo prendersi gioco della polizia convinti della loro superiorità intellettuale, certi di essere intoccabili dalla società e dalla legge.
Ma il delitto che hanno commesso fa acqua da tutte le parti, un paio di occhiali lasciati sulla scena, una macchina da scrivere con un tasto fallato (con la quale hanno scritto una lettera di riscatto ai famigliari della vittima), un alibi costruito con maniacale precisione che si scioglie come neve al sole, nel finale ai due non resta che sperare nella difesa di un avvocato dalla forte carica morale, lui si un superuomo, che difendendo i due assassini difende il diritto alla vita ponendosi contro la barbarie della pena capitale.
Uscito nel lontano 1959 il film è ancora oggi di una clamorosa attualità, a Fleisher va il merito di aver costruito un thriller teso e avvincente, in perfetto equilibrio tra emozioni e cronaca, il regista è abile nel tratteggiare queste personalità complesse nella loro follia ma allo stesso tempo banali nell’esaltazione dell’atto criminale (ispirarono anche Hitchcock per il suo Nodo alla gola).
Bravissimi infine i tre attori principali, Dillman e Stockwell duettano alla grande mentre Welles giganteggia con misurato equilibrio, il film fu presentato in concorso alla 12esima edizione del Festival di Cannes, fu l’anno de I 400 colpi che vinse come miglior film ma Frenesia del delitto ricevette la meritata attenzione prendendo il premio per la miglior interpretazione maschile, ex-equo proprio a Dillman, Stockwell e Welles.
Voto: 8
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