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Frenesia del delitto

Regia di Richard Fleischer vedi scheda film

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La recensione su Frenesia del delitto

di Furetto60
9 stelle

Eccezionale e indimenticabile pellicola. Orson Welles in una delle sue "performance" più memorabili

Due studenti di filosofia “rampolli della upper-class americana” abbienti e straviziati, legati da un'amicizia morbosa ed esclusiva, sono persuasi di essere intellettivamente più dotati di tutti gli altri e interpretando in modo distorto e disturbato, la teoria del superuomo di  Nietzsche, architettano e compiono , senza ragione e movente, il delitto di un ex compagno di scuola; nel frattempo i detective si mettono al lavoro; salta all’occhio dello spettatore, il rapporto asimmetrico e vagamente impregnato di latente omosessualità, tra il prepotente Artie e il sottomesso Judd, sono entrambi privi di moralità, ma il secondo va a rimorchio del primo,Richard Fleischer,  ispirandosi al romanzo Compulsion di Meyer Levin, ricostruisce con una sceneggiatura meticolosa e un utilizzo raffinato della fotografia, uno dei più sorprendenti e raccapriccianti delitti della storia americana recente: l’omicidio compiuto dai ventenni Nathan Leopold e Richard Loeb, che nel 1924, sequestrarono e uccisero il quattordicenne Bobby Frank, un dettaglio apparentemente insignificante li tradirà. Lo stesso episodio già aveva dato lo spunto all’eccezionale pellicola di Alfred Hitchcock “Nodo alla gola”.
Qui però l’impostazione tecnica  differisce, rispetto a quella dell’opera del maestro, il cui lungometraggio, grazie a virtuosismi da accademia del cinema, fu
realizzato con otto piani-sequenza, connessi tra loro, in modo da apparire come un’unica ripresa,la storia si svolgeva all’interno di un quadro soggettivo e intimo, ovverossia un appartamento; Fleischer invece  gira, con uno stile più classico e  cronachistico,si sofferma nell’analisi comportamentale dei giovani criminali,  scandaglia le loro menti perverse, deviate e contorte in agghiaccianti deliri di onnipotenza, con una sceneggiatura che procede in una geniale “combine” tra investigazione e legal-drama; intensa e profonda riflessione su materie importanti come morale, giustizia, crimine e sulla inammissibilità della pena di morte, nella cornice di un sistema giudiziario democratico. L’arringa finale del loro difensore, Clarence Darrow interpretato da un Orson Welles in stato di grazia, è rimasta scolpita nella memoria storica cinematografica ed è una delle più toccanti ed appassionate requisitorie contro la pena capitale mai declamate sullo schermo, un monologo suggestivo ed emozionante, che consegna la cifra artistica di quell’attore sontuoso; peraltro, il vero Darrow riuscì per davvero a evitare l’impiccagione ai due assassini.Capolavoro memorabile

 

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