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I protagonisti

Regia di Robert Altman vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su I protagonisti

di cheftony
8 stelle

“It lacks certain elements that we need to market a film successfully.”
“What elements?”
“Suspense, laughter, violence, hope, heart, nudity, sex. Happy endings. Mainly happy endings.”

 

I protagonisti: la Hollywood noir di Robert Altman - Movieplayer.it

 

Un giorno di ordinaria follia a Hollywood: stormi di scrittori che sciamano a proporre sceneggiature per film che non verranno mai realizzati, segretarie, dirigenti, addetti ai lavori. Ma il vero lato nascosto dell’industria è rappresentato dagli studio executive come Griffin Mill (Tim Robbins), il cui mestiere consiste nell’ascoltare decine e decine di pitch al giorno, salvo poi accettarne e sottoporne agli studio solo una manciata all’anno. Una specie di filtro hollywoodiano, che Griffin ricopre con spietata brillantezza e presunzione, sorseggiando ad ogni occasione una marca diversa di acqua minerale.
Griffin ha una relazione con la collega story editor Bonnie Sherow (Cynthia Stevenson), ma è comunque uno stronzo distaccato e assorbito dalle sue magagne lavorative: la prima è incarnata dal giovane e arrembante Larry Levy (Peter Gallagher), che secondo voci di corridoio sta per fregargli il posto, mentre la seconda è rappresentata da insistenti minacce di morte che gli pervengono, presumibilmente da uno sceneggiatore deluso.
Una volta individuata nel provocatorio David Kahane (Vincent D’Onofrio) la figura che lo tormenta, Mill decide di intercettarlo ad una proiezione di “Ladri di biciclette” a Pasadena. Il loro incontro termina malissimo…

 

“I think that… People say this is a satire and it’s an attack on Hollywood… It isn’t! It’s – I’m using Hollywood and the film business as a metaphor for the… Our culture in our country. Talking about greed and the way… Who we admire, we admire, we teach our children to admire people who make money and it doesn’t make any difference how they make it.” [Robert Altman]

 

The Player (1992)

 

Per la sorpresa di molti, all’età di 67 anni il grande Robert Altman teneva in serbo ancora qualche cartuccia da sparare, nonostante fosse pressoché sparito dalla circolazione da svariati anni. Il regista nativo di Kansas City – pur reduce da una decade straordinariamente prolifica nella quale non sbagliava un film – si era ritrovato nel 1980 a girare “Popeye” nei panni del regista all’ultima spiaggia, in quanto i suoi ultimi film non avevano avuto grandi riscontri di pubblico, a cominciare dall’eccelso “Three Women” fino al confusionario “Quintet”. Alla fine “Popeye” non fu un disastro commerciale, ma nemmeno il successo sperato dai colossi Walt Disney e Paramount Pictures. E se da un lato Altman non era certo l’outsider che la critica ha sempre etichettato (peraltro irritandolo), dall’altro è vero che al tempo aveva compromesso la sua reputazione: regista coriaceo e dai metodi poco ortodossi, non poteva più permettersi fallimenti commerciali e i suoi anni ‘80 filarono via tra varie trasposizioni di successi teatrali.
Il ritorno dall’(auto)esilio di Altman da Hollywood avviene in maniera inaspettata esattamente trent’anni fa: nonostante stesse preparando un ritorno in grande stile scrivendo l’adattamento di una raccolta di storie di Raymond Carver, riceve la proposta di dirigere “The Player” dopo qualche rifiuto da parte delle opzioni privilegiate; si tratta di un lavoro sceneggiato da Michael Tolkin come adattamento cinematografico del suo omonimo libro. Tolkin, autore di discreto successo, scrive basandosi su pochi riferimenti: Patricia Highsmith, James M. Cain, un dirigente di uno studio cinematografico che alzò annoiato gli occhi al cielo mentre Tolkin gli esponeva un suo progetto. “The Player” diventa un insperato ed unanime successo, grazie al quale Altman riesce a portare avanti il suo progetto basato sui racconti di Carver e dunque a dar vita al suo ultimo capolavoro, “Short Cuts”.

 

The Player”! “Cult Movie Monday” Skewers Hollywood! The Greatest  Oscar-Winning Cast In History! – johnrieber

 

Altman mette da subito le cose in chiaro: la sua mano e la sua ambizione si palesano fin dalla scena iniziale, un piano sequenza di quasi otto minuti vorticoso e metacinematografico, orchestrato in maniera eccellente. La moltitudine di personaggi che entra ed esce dal campo parla di sceneggiature, di progetti, dei più celebri piani sequenza della storia del cinema; è già da questi dettagli che si può intuire come il film sia destinato a diventare se stesso, cosa che avverrà nel folgorante finale.
“The Player” oscilla a lungo con equilibrio fra la materia narrativa di finzione e la dimensione metafilmica, che vanno però a confluire in un lieto fine sardonico, inverosimile e funzionale al progetto; la sinossi di questo film potrebbe benissimo essere la seguente: uno studio executive bastardo ed egoriferito commette un omicidio e la passa liscia. Uno spunto amaro e beffardo, degno di esser costantemente accompagnato da un doppio registro di commedia nera e tensione.
Nella seconda metà del film si inserisce una liaison francamente poco accattivante, ma tant’è: intorno a Greta Scacchi viene cesellato un ruolo da femme fatale abbastanza atipico, che ha comunque una buona resa grazie anche alla direzione di Altman, storicamente bravissimo a tirar fuori ottime prestazioni da attori non di primo piano. Da interpretare lungo lo stesso solco anche le presenze centrali di Cynthia Stevenson e di Peter Gallagher, assai in parte e ottimi contraltari dell’ubiquitario Griffin Mill interpretato da un Tim Robbins nei suoi anni d’oro.
Sebbene il cast di attori principali meriti tutti gli elogi del caso, “The Player” colpisce e rimane un caso unico per l’impressionante quantità di cammei, profusi in genere da attori ben lieti di collaborare con un vecchio mostro sacro come Altman a titolo gratuito per una manciata di minuti: ecco dunque che il film, ad un certo punto, rischia di diventare una successione a catena di scene in cui attori celebri improvvisano battute salaci nei panni di se stessi, oppure rivestono particine di contorno (è il caso di Whoopi Goldberg e Sydney Pollack, curiosamente in un ruolo non troppo dissimile da quello che ricoprirà in “Eyes Wide Shut”). L’elenco è davvero sconfinato, tale da dover scorrere più e più volte i titoli di coda per ammirarli tutti. I cosiddetti overlapping dialogue, ovvero il risultato di una deliberata sovrapposizione di tracce audio e dialoghi, sono stati una delle cifre stilistiche di Altman nei suoi ruggenti anni ‘70, ma in questo caso il risultato non emoziona. Strepitoso, invece, il lavoro al montaggio di Geraldine Peroni, a conferire un’insperata armonia ad un flusso così caotico di personaggi e immagini.

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