Regia di Andrew Dominik vedi scheda film
Da quanto tempo l'uomo ha a che fare con le divinità? Gli viene continuamente detto quanto sia piccolo rispetto a loro, e quanto debba temerle.
E da quanto tempo l'uomo si sente troppo piccolo per l'universo? Il mondo e gli astri stanno lì a guardarlo freddi e impassibili.
Ma Nick Cave dice che c'è una cosa che rende l'uomo più grande di tutti loro, la consapevolezza (di essere?).
One More Time With Feeling è un viaggio nella sincronicità, nell'assenza del caso, e nei meccanismi del processo creativo. Dominik accompagna dall'esterno questo percorso di autoconsapevolezza di Cave volando letteralmente qui e lì per gli studi in cui il cantante sta registrando il suo nuovo album, Skeleton Tree. Con l'occasione sentiamo anche molti nuovi brani che saranno presenti in quel disco, ed essi sono inseriti opportunamente in un discorso più grande che prescinde di molto la pubblicizzazione dell'album, o l'eventuale celebrazione di Nick Cave. E', in effetti, One More Time With Feeling, il film che celebra il matrimonio fra Cave e il Cinema, in quanto si propone come esperienza sensoriale meravigliosa e affabulatrice. La steady-cam avvolgente di Dominik si ferma di rado a intervistare il protagonista, e preferisce osservare gli studi (sulla scorta del Godard di Sympathy for the Devil, ma con molta meno sobrietà), consegnando il compito di comunicare le sensazioni e le emozioni del cantante alla voice over. Essa ha una cadenza quasi malickiana, e riflette sul Caos e sulla non-linearità della vita mentre Dominik scandaglia il wonder sonoro e filmico dell'ambiente. Sulla carta il film sembrava l'ennesimo film musicale, ma c'è una cosa che lo distingue dagli altri. La consapevolezza (di essere!).
Il documentario è concepito in maniera molto ironica e paradossale. Dominik tradisce continuamente la natura finzionale del suo film cercando di prendere le misure degli spazi. In una delle prime scene, infatti, divide lo schermo in due, e ci permette di osservare la stessa immagine con esposizione e focale diversa, in modo che quasi cubisticamente possiamo capire la distanza fra le cose. Una prova tecnica di trasmissione per un 3D che raramente al cinema è stato così ispirato. Gestendo la profondità degli spazi, Dominik finisce per inserire lo spettatore negli onirici movimenti di camera e in una sinfonia visiva di grande impatto, frutto di un efficace bianco e nero, e di una fotografia da paura.
Continuamente, il regista o l'assistente di camera intervengono parlando con i personaggi presenti in scena. Addirittura creano alternativi punti di vista incaricando il figlio di Nick, Earl, di realizzare delle foto, che opportunamente inseriscono nel montaggio finale tra due cut (una di queste foto, del volto di Nick Cave, viene spezzettata come un istantaneo incubo pop warholiano). Ma nonostante vediamo in foto la videocamera 3D, gigante e possente, non ne avvertiamo mai la pesantezza, e ci sentiamo ondeggiare continuamente. Una tale scomposizione teorica del punto di vista può essere solo il suggerimento per un film che è sul Cinema e su Nick Cave, ma che è soprattutto sul rapporto fra forza e fragilità nell'essere umano. C'è poco trionfo nell'uomo Nick Cave, imperfetto e annientato dalla recente scomparsa del figlio Arthur. E non c'è neanche facile ricerca di empatia. Ciò che vediamo nel film è un'elaborazione del lutto che passa attraverso il linguaggio cinematografico e musicale, un esorcismo che supera il lutto stesso e porta Cave forse a riscoprire il fascino di ciò che lo circonda.
Ed è l'amore per il Cinema a salvare indirettamente Cave. Nonostante la morte del figlio abbia messo in crisi la coscienza di sé del cantante, e anche la coscienza del suo operato (si chiede spesso: 'cosa sto facendo?', 'perché mi faccio riprendere?'), One More Time With Feeling rimette in pace Nick Cave con la sua percezione delle cose. Come quando racconta dell'amore per la moglie, descrivendola nella scena (se è fuoricampo, se è in out of focus), e descrivendo la scena, in un raffinato gioco di specchi.
C'è un continuo riflesso di pensieri e di immagini, nel documentario di Dominik. Ci sarebbe moltissimo da dire su un testo filmico di tale complessità. Ci sono viaggi in volte astrali, deformazioni spaziali che sconfinano nella videoarte, sovraimpressioni, dissolvenze, scavalcamenti di campo, luci accecanti, effetti speciali, dolly che ruotano come ruota il mondo, addirittura un momento in cui Cave conferma che il caso non esiste, e proprio in quell'istante la cinepresa cade per terra. Forse è un'illusione, l'inesistenza del caos. Ebbene, il cinema può creare quell'illusione.
One More Time with Feeling, in conclusione, è un film unico che non ricorda nient'altro. Si è cercato di fare un lavoro del genere solo con il piccolissimo Nemico - Un breviario partigiano sugli CCCP, in Italia, ma lì l'esposizione trionfa sull'estetica. Invece il documentario di Dominik supera il suo soggetto espositivo, e sale fino all'universo per lanciare un'occhiata, dall'alto, all'intera razza umana. Con un gesto definitivo e commovente.
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