Regia di Jan Hrebejk vedi scheda film
Godibile, ma non troppo incisivo.
Il volto del potere ha questa volta l’espressione materna e il profilo morbido di Zuzana Mauréry (una bella attrice dalle forme, si direbbe, d’altri tempi) dietro i quali, però, il potere medesimo non riesce a nascondere tutta la sua arroganza. Al contrario, proprio il contrasto tra un volto così rassicurante e protettivo come quello di Mária Drazdechová, insegnante di letteratura, russo e storia in una scuola media, e il suo agire subdolo e strisciante che si fa forte delle referenze politiche, rende particolarmente efficace la denuncia insita nel film. Ed è particolarmente pesante, pur in un film che sostanzialmente non lo è affatto (anche grazie ad un buon montaggio che racconta la vicenda a piccole dosi e con leggeri flash back/forward ben calibrati), riuscire a sopportare le angherie di questa paesanotta ciaciòsa di una piccola periferia di mondo che, sempre col sorriso stampato in volto, sempre con la giustificazione pronta e le ragioni cucite a pennello sul vestito della sua arroganza feudale, sempre con la solfa del suo povero marito defunto che “quant’è difficile vivere da soli”, riesce a scaricare sui più deboli (chi più debole di un adolescente di Bratislava nel 1983?) la sua brama di potere.
Un film anche corale, se si tiene conto della bella carrellata di genitori che tengono, con la loro riunione, le fila della storia, che però non riesce, a mio avviso, a distinguersi in modo particolare, a rimanere particolarmente impresso: è tutto ben fatto, ben riuscito e costruito, a partire da tema che affronta e che porta poi amaramente avanti fin dopo la caduta del muro di Berlino in un bel finale sul quale mi taccio per evitare spoiler, sa ricorrere a vari registri, non ultimo quello divertente (il “colpo di pistola” che darà la svolta al film ha suscitato in sala una bella e sana risata liberatoria), ma non raggiunge mai (forse volendolo) un’incisività drammatica che magari lo avrebbe potuto caratterizzare meglio.
Fra le righe, vorrei aggiungere di come mi sia parso strano che la distribuzione italiana abbia voluto portare nei cinema un film come questo (ma ben venga, naturalmente), e di come sia invece stonato che la stessa distribuzione (o chi per essa, non so) non si sia data la pena di spendere due euro in più per rifare in italiano i titoli di testa e di coda. Trai i quali, peraltro, essendomi personalmente attardato a “leggerli” tutti fino alla fine, ho notato essere presente, in quello che dovrebbe essere l’elenco dei ringraziamenti, il nome di Barbora Bobulova (scritto proprio “Barbora Bobulova”, quindi lei), il che mi spiegherebbe (forse, e in parte, qui lo dico e qui lo nego) la scelta della distribuzione italiana, nella speranza (non fortissima, ma non dubito del candore trasparente della Bobulova) che i metodi usati dal film per arrivare nelle nostre sale non siano i corrispondenti moderni rispetto a quelli usati della maestra Drazdechová.
Se esistessero le “mezze stellette” il mio sintetico giudizio si orienterebbe sul sei e mezzo. Non esistendo, mi sembra più onesto fermarmi prima, al sei.
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