Regia di Kevin Smith vedi scheda film
Grunge fin dal modo in cui è ridotto l’appartamento di Dante (con le magliette affastellate sul pavimento, le ciotole di caffè non lavate, il cane che beve direttamente dalla tazza del cesso) e dalla qualità delle immagini, tutte sgranate e in un impataccato bianco e nero, l’esordio di Kevin Smith è fiammeggiante.
Girato col gusto della naturalezza, “Clerks” è stato prodotto con una manciata di dollari ed è un vero esempio di cinema Indipendente, quello con la “I” maiuscola, visto che ultimamente vengono presentate pellicole aventi l’appoggio di enti e/o produttori non proprio invisibili, le quali virano astutamente i loro contenuti verso un armistizio ideologico furbo e ruffiano. Il film di Smith invece si abbuffa di un linguaggio ribelle e disturbante, e resta lucido nella sua esposizione. Ciò che colpisce di più è che va in crescendo, arrivando a un finale coerente dopo una giostra di riferimenti a dir poco strampalati.
Racconta una giornata di lavoro di due commessi, Dante e Randal, il primo addetto al banco di un emporio, il secondo noleggia videocassette all’entrata accanto. Ognuno diverso a suo modo, filosofeggia senza gloria con la vita e i suoi piccoli grandi eventi, mettendo a nudo le proprie verità, debolezze, empietà e dolcezze. Finanche un barlume di folle impegno sociale pensando ai subappaltatori dei costruttori dell’astronave Morte Nera ne “Il ritorno dello Jedi” (!).
Circondati da un manipolo di gente che non sa quello che vuole, vengono invasi nel loro privato da rappresentanti di gomme da masticare che si spacciano per tutori della salute, vecchietti arzilli che si chiudono in bagno per masturbarsi, amanti delle storie sugli ufo e sugli alieni desiderosi di condividere con qualcuno il loro interesse. Bizzarro oltre ogni limite (da non dimenticare lo “strillo”, sbattuto a caratteri cubitali, che annuncia il matrimonio tra l’uomo più grasso e la donna più magra del mondo), rivela la sciagura della mediocrità e dileggia l’ormai troppo ortodossa America.
In mezzo ci stanno anche un paio di morti “da ridere”, una riflessione neanche tanto banale sul senso che ha l’Amore e su cosa possiamo fare per imporre la nostra personalità, abbandonando il destino come scusa per non sentirsi realizzati nella vita, evoluti servi imprigionati ai nostri banconi da commesso e alle nostre scrivanie come pii impiegati. Un’esistenza fatta di monotonie, delusioni, chiacchere frivole, demenze e manie: la penna del neo-autore scivola leggera e disinvolta tra le maglie della commedia, esaltando il lato ironico senza dimenticare gli adeguati avvilimenti.
Silent Bob è lo scetticismo fattosi uomo. Interpretato da Kevin Smith, è un barbuto spacciatore con tanto di cappello da baseball degli Yankees che sta zitto per tutto il film. Fumando roba più o meno legale, se ne sta appoggiato al muro che si trova a metà strada fra le tue entrate dei negozi e ci regala una piccola perla di saggezza, parlando quasi sul finale.
Con la prospettiva di una vita cadenzata da paragrafetti dalle telegrafiche intestazioni, forse è meglio battersela riproducendo il cosiddetto “passo del teppista”.
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