Regia di Michael Cimino vedi scheda film
Un'occasione sprecata e un grande peccato.
Le traversie del film sono cronaca conosciuta. Flop fragoroso e annunciato in pompa magna persino prima dell'uscita nelle sale, la morte artistica del rampante Cimino, il fallimento della United Artists. Opera dimenticata, marchiata con la damnatio memoriae per decenni, poi riesumata e infine mitizzata e assurta a pellicola maledetta e incompresa. Heaven's Gate nella storia del cinema ci è entrato, dalla porta di servizio, quella mimetizzata sul retro, ma ci è entrato. In qualche modo ha segnato la fine di un'epoca, un po' come il 476 data della caduta dell'Impero romano. Esiste un cinema ante Heaven's Gate e ne esiste uno post Heaven's Gate: se contate giusto 2 o 3 kolossal negli ultimi 37 anni, sapete chi ringraziare. La domanda è: ne è valsa la pena? Il sacrificio di un astro nascente della regia, e di una compagnia di distribuzione di tradizione più che cinquantennale hanno partorito davvero un capolavoro? Un capolavoro che solo per vezzo e per antipatia verso il maniacale perfezionismo del regista fu annientato e massacrato? La risposta è ni, ed è più no che sì: è un capolavoro mancato, o un tentativo di capolavoro nemmeno lontanamente avvicinabile a definirsi tale.
Il film cerca in tutti i modi di rendersi indimenticabile, e in qualche occasione ci riesce persino. Sono le singole sequenze a fissarsi nella memoria. Le sequenze dei due balli sono incroyables, Cimino qui offre scenicamente il meglio di sè: la spensieratezza della giovinezza e anche una venata malinconia per una fase della propria vita che si conclude e che non tornerà più, nel ballo a Harvard; la maturità di un amore bizzarro e transitorio, eppur fortissimo, nel ballo solitario all'Heaven's Gate, il locale che dà il nome alla pellicola. E ancora, nello stesso locale, la sequenza in cui vengono lette le infami liste di proscrizione, o quella in cui viene ucciso Nate, o la morte di Ella: il melodramma è palpabile. Cimino imprime ben bene l'incolmabile iato fra la poesia del sogno americano (le belle parole nell'aula magna dell'università, il ballo, le serenate) e il pattume che sta dietro tale sogno: avidità, possessività, conservatorismo. L'antifrasi del titolo è beffarda e dice tutto: per i coloni l'America dischiude le porte dell'inferno. Sui temi il film è esaustivo e magniloquente. Le lacune sono tuttavia dolorose a livello di sceneggiatura e protagonisti. Il film è piatto e unidirezionale, un brodo allungato all'inverosimile che non dà mai la sensazione di poter raccontare altro rispetto a ciò che già è stato raccontato. Non c'è poliedricità nella trama, mancano linee narrative parallele che in un kolossal sono essenziali, sono il pane: un imbuto lungo 3 ore e 40 minuti dove non c'è via d'uscita. Diversi sono anche i buchi di trama. Perché non sviluppare meglio la storyline dell'associazione degli allevatori? Perché fossilizzarsi sul mediocre triangolo Jim-Nate-Ella? Perché Irvine, che aveva le potenzialità per essere brillante coprotagonista e amico-nemico, viene abbandonato alla minuscola particina di una marionetta perennemente ubriaca? E da dove diavolo salta fuori Nate? Inoltre, chiunque abbia appena ben presente l'imponenza dei grandi protagonisti dell'epica western (maschili, ma anche femminili, sebbene pochi), non riconoscerà nessuno dei loro tratti nei protagonisti di Heaven's Gate. Sembra di trovarsi di fronte a persone sotto l'evidente effetto di stupefacenti. Non sanno quello che vogliono fare. Sono sempre indecisi, in balia degli eventi. Non trascinano e non emergono. In un western bisogna innamorarsi dei personaggi, e bisogna odiarli: il western è genere che più di ogni altro genera meccanismi di immedesimazione perché fa sognare. E' filologicamente accettabile che Cimino intenda distruggere il sogno della frontiera, molto meno che prenda a picconate i fondamenti del genere, specialmente per un kolossal costato un'esagerazione, non certo per un B-movie di nicchia. Le crasse e sferzanti critiche che il film ricevette all'epoca sono legittimate dalla visione: la sostanza è integralmente sacrificata sull'altare di una forma elegante ma asettica. Se i personaggi non parlassero e non interagissero fra loro, la resa sarebbe esattamente identica.
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