Regia di Michael Cimino vedi scheda film
Nel 1980 Michael Cimino, reduce dal successo de “Il cacciatore” di due anni prima, è pronto a girare “Heaven’s gate” (I cancelli del cielo), con i soldi di Joann Carelli della United Artists. Gli intenti di Cimino, che scrive anche la sceneggiatura, sono quelli di portare sul grande schermo la storia della guerra tenutasi nella contea di Johnson, nel Wyoming, attorno al 1890 tra gli esponenti dell’”Associazione degli agricoltori” e i numerosi emigrati provenienti dall’Europa Centro-Orientale che, di fatto, detenevano il potere economico della contea stessa. Il film dunque intendeva essere un grande affresco western in cui sentimenti singoli e pulsioni sociologiche si mischiavano indissolubilmente. Per mettere in scena tale progetto filmico, Cimino si serve di attori navigati nel genere, come Kris Kristofferson (che interpreta James, una sorta di sindacalista ante litteram), il suo fido Christopher Walken (inevitabile la sua partecipazione dopo la performance da Oscar del ’78) ed un direttore della fotografia del calibro di Vilmos Szigmond. Le pretese erano decisamente alte, tanto da spendere 36 milioni di dollari da spalmare su un film vicino alle 4 ore di durata, per un film epico, che sarebbe passato alla storia.
Ed in effetti “I cancelli del cielo” alla storia ci passa per due poco invidiabili ragioni: la prima è che lo scarso ritorno economico ha rischiato di far dichiarare bancarotta alla “United Artists”, una delle più forti compagnie di produzione americane; la seconda è che, a guardare il film, si avverte una penosa discrepanza tra l’entità del progetto iniziale (faraonico e pretenzioso) e il risultato sullo schermo.
Laddove Cimino cerca intimismo, ricava prolissità, della quale il ritmo complessivo del film risente in maniera decisiva. Ne viene fuori insomma un drammone in salsa western con apprezzabili scene corali, accompagnate da ottime scelte musicali (di David Mansfield), una prova attoriale più che accettabile (oltre a Kristofferson e Walken c’è una Huppert in grande spolvero), ma che buca clamorosamente tutto il resto. Dal montaggio, al missaggio, alla qualità delle scenografie, ad alcune incongruenze nei costumi, fino ad imbarazzanti “bloopers”, “I cancelli del cielo” arriva talvolta a rasentare il ridicolo, con errori marchiani come raramente si individuano all’interno di un film di tali pretese.
Ecco che allora, alla luce di inquadrature splendide, di angoli di ripresa geniali e di campi lunghissimi degni dei migliori maestri del western, sorge quasi il dubbio che Cimino sia nato per fare il fotografo, non l’autore, come per questo film.
Anche il tema, quello della lotta di classe, è difatti tracciato con poca incisività: il manicheismo tra i gruppi, nonostante la ferocia di alcune scene, sembra solo accennato, in quanto mai profondo. Ecco perché ne viene fuori un film che, nonostante parli di tematiche similari a quelli del precedente “Il cacciatore” e nonostante di quest’ultimo conservi il modo e lo stile di narrazione, “I cancelli del cielo” risulti un film per certi tratti “eccessivo”, ma nella sostanza assolutamente impalpabile.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta