Regia di Michael Cimino vedi scheda film
Controverso western diretto da un Michael Cimino lasciato troppo libero di agire dalla United Artists. L'errore dei produttori sarà tale da rivoluzionare, in seguito, l'atteggiamento delle major che non daranno più carta bianca ai registi.
L'eclettico Cimino, forte e inebriato dai cinque Premi Oscar conquistati dal precedente Il Cacciatore (1978), si lascia prendere la mano e dilata, in corso d'opera, il copione dallo stesso scritto facendo quadruplicare i costi di produzione fino a toccare la somma di 44 milioni di dollari (ne incasserà solamente 3). Un atteggiamento che denota l'incapacità del regista di gestire il materiale a disposizione. Cimino, nell'occasione, rasenta addirittura la follia. Il suo insistere sulle feste di ballo, le danze, i violini (vizi già presenti ne Il Cacciatore) incide negativamente sulla durata del film, ma anche sul ritmo che viene continuamente strozzato tra continui cambi di registro. Il film, pur costruito su un intenso e coraggioso soggetto che mette alla berlina l'ipocrisia della democrazia statunitense evideziando il profondo razzismo di fondo e la violenza di stato americana rappresentata quale via di ripristino dei valori sociali, si perde in lunghe sequenze troppo insistite.
Cimino arriva a presentare ai produttori un lavoro di cinque ore e mezzo (!!!). La cosa, ovviamente, inquieta la United Artists che impone massicci tagli, tanto da ridurre il film a tre ore e mezzo, con un taglio di 106 minuti (praticamente un film di media lunghezza). E' ovvio che un prodotto che subisce tagli del genere finisca per risentirne in modo pesante e infatti all'uscita si rivela un flop di proporzioni tali da determinare quasi il fallimento della United Artists che rimette 41 milioni di dollari. La critica spara a zero. Si parla di "grande disastro" tanto che Cimino finisce per vedersi riconosciuto il Razzie Award per il peggior regista della stagione (un vero e proprio oltraggio, peraltro ingiustificato). Nessuno vuol più produrre western. I Cancelli del Cielo viene dimenticato o indicato nelle liste dei peggiori film di sempre, Cimino ridimensionato ed evitato come la peste dai produttori. Passano gli anni, si prova ad accorciare ulteriormente la pellicola (vengono tagliati altri 70 minuti, per un totale di tre ore di tagli) ma la soluzione non ha l'effetto desiderato. Solo anni dopo, con l'uscita della director's cut, il film godrà di una nuova primavera al punto da finire per essere considerato uno dei migliori western degli ultimi venti anni di fine secolo. I critici, del resto, sono davvero strani: prima uccidono, poi proclamano la santità del morto.
In effetti I Cancelli del Cielo, alleggerito da tutte le fisse di Cimino per i balli, le feste e le sequenze cerimonialistiche (che sono veramente pallose, consentitemi il termine), è un grandissimo film, messo in scena in modo artistico. La fotografia dell'ungherese Vilmos Zsigmond è da Oscar. Definirla magnifica è dir poco. I colori sono accesi, l'immagine offre quasi l'illusione di ammirare un dipinto dagli sviluppi dinamici. Inoltre c'è una particolare attenzione per le luci, le costanti nebbie o fumi e un cielo di un azzurro tale da far risaltare le nubi bianche. Eccezionale davvero, non a caso Zsigmond giunge da Cimino (con cui aveva collaborato anche ne Il Cacciatore) forte dell'Oscar conquistato per la fotografia di Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo (1977). Notevoli sono anche le scenografie che strappano la nomination all'oscar e le musiche di David Mansfield.
Le interpretazioni degli attori sono intense, straordinariamente empatiche ed emotive. Brillano un artistocratico Kristofferson, proveniente da ben altri ruoli essendo stato il grezzo protagonista di Convoy (1978) di Peckinpah, un eclettico Christopher Walken (forse il migliore del cast) e una simpatica Isabelle Huppert.
La tematica del film è contemporanea e moderna, incentrata su una tematica xenofoba, anti immigrazione e a favore del ripristino degli antichi privilegi. Alcuni delitti commessi da pochi immigrati diventano occasione utile per fare di tutta l'erba un fascio. Le parole "ladri" e anarchici finiscono per circolare di bocca in bocca, sebbene di anarchici non se ne veda ombra. A tali atteggiamenti si ribelleranno lo sceriffo locale, un vigilante (più convinto per amore di una donna che per ragioni etico-politiche) e un ubriacone genio universitario ma del tutto inetto (l'ottimo John Hurt), ma contro politici e mercenari che godono del favore altolocato si potrà far ben poco. Persino l'esercito, che interverrà ufficialmente in favore dei coloni, patteggia per i mercenari che hanno addirittura stilato, in modalità nazista, una lista della morte.
Film romantico, melanconico, con la storia parallela dell'amore di una donna per due uomini in competizione tra loro e, a loro modo, opposti ai poteri forti pur facendo parte degli stessi. I Cancelli del Cielo, però, è anche un film con lampi di una violenza ben superiore alla media. Lo si capisce presto, quando Walken, di professione vigilante, uccide a bruciapelo un colono squarciandogli il petto con una fucilata, lasciando la moglie dello stesso urlante. Cimino non edulcora le scene. Il dolore c'è ed è brutale (si veda la scena con tutte le prostitute trucidate). Non gli interessa piacere al grande pubblico, anzi, va giù di mano pesante. Antologico lo scontro finale tra immigrati e "ronde" mercenarie, portato in scena con piglio bellico. La regia, nei momenti d'azione, rende onore all'oscar vinto con Il Cacciatore (altro che Razzie Award!?). Dolly, riprese aeree, soggettive, camera-car, c'è di tutto. Il conflitto finale anticipa la scena iniziale dello sbarco in Normandia di Salvate il Soldato Ryan, esaltata da operatori mandati a riprendere il conflitto in mezzo agli attori. Esplosioni, carri di fortuna concepiti ricordando le lezioni belliche degli antichi romani, fucilate e morti che cadono come mosche avvolti dalle nubi della polvere da sparo. Cadono a terra uomini, vecchi, donne. Qualcuno investito dai carri, con Cimino che indugia sugli arti spezzati e le ferite in bella mostra. Scordatevi le happy-end, non ce ne sono. La morte di Walken omaggia il finale di Butch Cassidy, con Cimino che mette tutto in campo e mostra i colpi che squarciano il petto, tra schizzi di sangue e urla. I mercenari sono scorretti, fanno promesse che non mantengono e se ne accorge il simpatico personaggio interpretato da Geoffrey Lewis, il "Serpente due colpi" di Fulci in Sella d'Argento o, se preferite, il barbiere a cui Terence Hill infila l'indice nelle chiappe nell'ultima inquadratura de Il Mio Nome è Nessuno.
Tremenda la scena con una donna che, a fine battaglia e ripresa in primo piano, disperata (probabilmente per la morte dei famigliari) preferisce spararsi un colpo di pistola in bocca che affrontare la realtà.
Insomma, un maledetto capolavoro che non piacque a nessuno, neppure ai politici che, dall'alto della loro volontà manipolatoria, chiesero subito ai produttori di non finanziare film del genere, orientati a mettere in cattiva luce la formazione della società civile e politica americana.
Lento, lentissimo, in alcuni momenti poco sostenibile, eppure da vedere fino in fondo per poter dire di aver vissuto un'esperienza. Spettacolare la ricostruzione dell'Università di Harvard nel 1870 soprattutto per gli esterni. Western fortemente atipico e da vedere. Impossibile non dargli un voto superiore alla sufficienza.
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