Regia di Woody Allen vedi scheda film
“Mariti e mogli” ovvero il film cruciale della vita artistica e personale di Woody Allen. Con questa pellicola l’attore regista newyorchese dopo il ciclo anni ottanta di pellicole un po’ figlie di Bergman, impregnate di psicologismi e drammaticità aprì un nuovo corso. “Mariti e mogli” si può ascrivere alla categoria sperimentale: di scrittura, stile e soluzioni narrative. E’ il film capolinea della coppia Allen-Mia Farrow, con inserti autobiografici in cui Woody regista sistema la storica partner con Liam Neeson. Nella vita non è andata così liscia, però Allen è riuscito a esorcizzare a suon di piccoli e grandi film la crisi consumata in quel fatidico periodo.
“Mariti e mogli” parte con una bellissima battuta su dio che non gioca a dadi ma a nascondino sì. E da Einstein a Meir Shalev possiamo dire che se gli dei sorridono gli uomini fanno progetti…di tradimento. Infatti il ritratto degli uomini è abbastanza impietoso: Jack trasuda sicurezza con Sally, dopo la separazione si accoppia con l’insegnante di aerobica Sam, poi comincia a perdere la bussola (in quota Allen l’esplosione per distanze culturali) anche per paura di brutte figure, in vino veritas. Il ritorno all’ovile ha sotto sotto un che di moralistico. Gabe Roth è un venerato docente, scrittore in crisi, legge solo pochi poeti colti, vive un’apparente tranquilla vita di coppia con la non realizzata Judy. L’elogio per la prosa della allieva Rain, ben presto si trasforma in seduzione. Lei lo ricambia, gli presenta i genitori, lo invita al suo 23° compleanno, quando l’apprezzamento iniziale per il libro scritto e non pubblicato diventa una critica al maschilismo di Gabe questi va in tilt. “Il trionfo della volontà di Leni Riefenstahl è un gran film ma non ne apprezzi l’ideologia”. La battuta alleniana DOC come pietra di paragone per il libro di Roth diventa pietra d’inciampo definitiva. Il rapporto si incrina e Gabe resta solo, al contrario di Judy che si realizza con Michael.
Il direttore della fotografia Carlo Di Palma filma una New York tardo autunnale, riprende i personaggi di questa storia in modo casuale e instabile, facile metafora dei loro stati d’animo. Entrambi (regista e direttore) anticipano “Harry a pezzi” nell’uso della mdp, nelle soluzioni, nella adrenalina, qui ancora temperata. Allen ama i suoi attori: in prima battuta Judy Davis, una sua fantastica creatura; Sydney Pollack adorabile quando di rado si è prestato alla recitazione, in questa pellicola lo è con addosso quel montone color cammello e l’occhiale Rayban; l’ultima grande e fragile Mia Farrow; Juliette Lewis deliziosa viperetta; un giovane piacione Liam Neeson. Al regista si perdona volentieri il confessionale dei personaggi come metanarrazione, residuo del passato bergmaniano riciclato in salsa brillante.
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