Regia di Robert Montgomery vedi scheda film
Liberamente tratto dal romanzo di Chandler: l’investigatore Marlowe viene incaricato di trovare la moglie di un editore scomparsa nel nulla, i cadaveri cominciano a fioccare e ci si ritrova nella solita vicenda contorta. Un film straniante, per due motivi: 1) Vedere nella prima scena Robert Montgomery rivolgersi allo spettatore qualificandosi come Philip Marlowe lo fa inevitabilmente sembrare un intruso che abbia preso abusivamente il posto di Bogart. L’impressione di disorientamento viene accentuata dal fatto che Montgomery ha l’aria troppo perbene per il personaggio, ma d’altra parte usa proprio lo stesso linguaggio disinvolto e fintamente cinico che ci si aspetterebbe da lui; solo il finale è un po’ troppo roseo rispetto allo standard. 2) La storia è raccontata quasi interamente in soggettiva, cosicché Montgomery (che è anche regista) si vede pochissimo e la macchina da presa insiste soprattutto su Audrey Totter, che però in nessun modo può essere considerata la vera protagonista. La scelta ha implicazioni sulla grammatica filmica: anzitutto, ovviamente, la nostra percezione coincide per intero con quella di Marlowe (niente scene senza di lui, niente immagini mentre è svenuto, niente flashback); in secondo luogo l’attenzione si concentra talvolta su elementi che normalmente verrebbero trascurati nell’inquadratura (es. Marlowe si distrae guardando la segretaria). Insomma è un film curioso, sperimentale, quasi vertoviano: alla lunga il gioco può stancare, ma io lo trovo non sgradevole.
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