Regia di Henry King vedi scheda film
Appare strano che l’insieme di accreditate professionalità si esauriscano in un risultato in cui tutto tenda al ribasso,in un’atmosfera equanime e di perplessa svogliatezza.
Spacciato per il ritratto di un uomo nella sua ultima stagione il film di King in realtà non è di lui che parla,poiché Francis Scott Fitzgerald,il tormentato cantore del’età del jazz,vi è completamente assente,almeno nella misura in cui ci si aspetta che sia presente.
Realizzata secondo il punto di vista di Sheilagh Graham,o di quello che a Hollywood ha fatto comodo trarre dal volume autobiografico di quest’ultima(una Kerr di puntuale professionalità,ma poco aderente al personaggio di ragazza selvatica “rieducata” secondo i dettami della buona società),la pellicola smaterializza la più nascosta traccia di un uomo piegato dagli eventi,impossibilitato a dare espressione al proprio talento,di cui si citano le sventure quasi per sollevare una compassione di cui non si sentiva il bisogno,lasciando che appaia come un inaffidabile beone senza volontà,anche grazie (si fa per dire) ad un Gregory Peck espressivo come una cambiale.
Se si aggiunge un notevole svarione scenografico(la vicenda è ambientata negli anni ’30,ma non lo si capisce nemmeno da un solo particolare,per come viene presentato uno stile di vita e un guardaroba chiaramente collocabile negli anni ‘50),allora si acuisce la sensazione di un timido romanzane realizzato con gli avanzi di altri film più costosi,non meno disonesti nella loro inattendibilità biografica,ma meglio riusciti perché appena meno ingessati.
La coppia,inoltre,non comunica neanche per un attimo la complicità e la complessità degli amanti,piuttosto l’accordo di replicare senza acuti la svogliata retorica delle frasi fatte del melò,in questo caso di serie B.
Rispettando le esigenze dei film di ambiente hollywoodiano in cui Hollywood viene ritratta senza un tentativo di autocritica,e ha il suo più grande difetto nel non dedicare mai un momento alla concentrazione e al travaglio dell’arte della scrittura,grande assente per quasi tutto il film;ma è anche una festa per chiunque cerchi un fumettone interminabile e indistinguibile da molti altri,utile per chi abbia voglia di sprecare lacrime forzate e se ne infischi di un minimo rispetto per la difficile gestazione di un’opera letteraria.
Per quelli(speriamo non pochi)che abbiano una conoscenza non generica di uno dei più grandi romanzi del ‘900 è doveroso sorvegliare la necessità di un sovraccarico di sbadigli.
L'infedelta c'è,l'adorabilità molto meno.
Non ha un grande personaggio,ma assolve il suo dovere con la giusta pacatezza di chi sa che non avere molto da fare non significhi doverlo fare male.
Presenza notoriamente simpatica che qui risulta abbastanza fuori luogo.
In un ruolo che avrebbe fatto la gioia di una diva per l'affettazione che richiedeva,Kerr ricorre a una padronanza di sè senza imbarazzi,pur essendo già troppo consapevole e solida per risultare credibile come giovane donna da coltivare. La sua permanenza nella pellicola superiore a quella di Peck è l'unico regalo per gli spettatori.
In questo caso non vale nemmeno l'ambiguo e notissimo apprezzamento fatto da Hitchcock:"Non sa fare nulla,ma lo fa benissimo".E'condivisibile solo la prima parte della frase,del tutto privo com'è di quasiasi ombra,e fa tenerezza come una persona di cui si accetti l'incapacità.
Era giusto chiamare a dirigere una storia volutamente falsata un regista docile ed esperto come King,che non correva il rischio di imporre una qualsiasi verosimiglianza alle vicende biografiche di Fitzgerald. Nelle sue mani la Hollywood delle grandi occasioni cancella la Hollywood delle grandi crudeltà.
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