Regia di Jean Vigo vedi scheda film
VOTO 10/10 Realismo poetico con squarci surreali e sfumature anarchiche, L'Atalante è diventato uno dei film più amati della storia del cinema, nonostante gli interventi della censura e l'incomprensione che accompagnò il film al momento della sua uscita. Il regista morì a soli 29 anni di tubercolosi poco dopo la fine delle riprese, e la casa di produzione Gaumont lo tagliò selvaggiamente, riducendolo da 89 a soli 65 minuti; solo nel 1990 sarebbe stato ricostituito nella versione originaria. La trama riprende un soggetto piuttosto convenzionale, che è del tutto sovvertito dall'originalità e dall'audacia della visione registica di Vigo.
"Un matrimonio in un villaggio dell'Oise. Juliette, figlia di contadini, sposa Jean, marinaio. Non appena la cerimonia è finita, la coppia si imbarca sull'Atalante, una chiatta a motore il cui itinerario è fissato dalla compagnia che la gestisce. L'equipaggio è composto da un mozzo e da un vecchio lupo di mare, papà Jules, che vive nella sua cabina circondato di gatti, vecchi dischi e un'incredibile mescolanza di oggetti raccolti ai quattro angoli del mondo. Juliette ha un'anima romantica, sogna Parigi e i bei vestiti, e si lascia incantare dalle chiacchiere del vecchio Jules e dalle sue mirabolanti descrizioni. Si giunge infine a Parigi e Jean porta la moglie in un'osteria dove viene corteggiata da un buffo tipo, con irritazione di Jean che decide di accorciare lo scalo. Ma Juliette vuol vivere la sua vita, e se ne fugge... E' inverno, e la ragazza si ritrova tra i disoccupati e i morti di fame. Un ladro cerca di rubarle la borsetta. Intanto sulla chiatta regna la costernazione. Jean non dorme più, e la compagnia minaccia di togliergli la licenza. Papà Jules decide di andare alla ricerca della "padrona", e la trova, in un grande negozio di dischi, che ascolta la canzone dei marinai. Se la carica sulle spalle e la riporta da Jean. La coppia è riunita, L'Atalante può riprendere il cammino sul fiume". (riassunto tratto da I capolavori del cinema di Claude Beylie).
Cos'altro aggiungere? Che si tratta di un’opera di radicale rottura nel cinema francese dell’epoca, perché è tutta tesa a creare una poesia del quotidiano e degli affetti coniugali che ricorda quella del Murnau di Aurora (seppure in un contesto meno tragico). Che è un film ancora fresco e per nulla invecchiato, con audaci tocchi di erotismo, squisite notazioni comiche e parentesi quasi documentaristiche su una Parigi magica e insolita. Che vi sono molte sequenze entrate nella storia del cinema, dall’immersione sottomarina con la visione del “fantasma” di Juliette (diventata la sigla di Fuori orario) alla scena ambientata nella cabina di Papà Jules che mostra i suoi tesori a Juliette, dai carillons a una marionetta che fa il direttore d’orchestra, alla scena della balera con l’infido venditore che corteggia la donna, fino alla riconciliazione finale nell’emozionante happy ending. Tra gli attori, il più memorabile è certamente Michel Simon, irriconoscibile nei panni del burbero Père Jules con il corpo coperto di tatuaggi, ma anche Dita Parlo e Jean Dasté assolvono al loro compito con la giusta espressività e con un’adeguata prestanza fisica. Ottima colonna sonora di Maurice Jaubert e fotografia di Boris Kaufman, fratello del regista Dziga Vertov. In Francia (e non solo) è divenuto un cult assoluto anche perché è stato amato da molti registi, fra cui Truffaut, che si ispirarono alla lezione di Vigo.
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