Regia di Federico Fellini vedi scheda film
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Dopo aver visto "La città delle donne", fra i 20 lungometraggi narrativi diretti da Federico Fellini mi manca soltanto la visione di "Luci del varietà", il suo primo film diretto insieme ad Alberto Lattuada. "La città delle donne" l'ho tenuto alla fine, forse perché poco invogliato alla visione da quanto avevo letto, e in effetti dopo averlo finalmente visto posso dire che rientra fra le opere minori del Maestro riminese, per quanto sempre degno del suo nome. Fellini fa una sorta di ricognizione del suo rapporto complesso con l'altra metà del cielo attraverso un alter ego fittizio qui ribattezzato Snaporaz, interpretato da Marcello Mastroianni a tanti anni di distanza da La dolce vita e Otto e mezzo. Snaporaz compie una specie di pellegrinaggio onirico attraverso un convegno femminista dove inevitabilmente si dibatte dell'influsso nefasto del Maschio sullo sviluppo delle potenzialità della Donna, poi si ritrova nella villa di tale Sante Katzone e attraverso episodi slegati come quello con una motociclista un po' navigata che vorrebbe saltargli addosso in una serra, oppure con una moglie che lo rimprovera del suo egoismo con toni non molto dissimili da quelli della Luisa di Otto e mezzo. Il film risulta un po' lunghetto nelle sue due ore e un quarto, si raccomanda per l'estro barocco delle scenografie e per alcune composizioni figurative spinte al delirio, ma rispetto ad altre pellicole della sua fase visionaria come "Giulietta degli spiriti" e "Il Casanova" ha un andamento più faticoso e diversi episodi risultano piuttosto pesantucci, ad esempio quello in cui Snaporaz si ritrova in macchina con una comitiva di hippie capricciose e drogate, così come l'episodio di Katzone non è francamente nulla di memorabile. Con una musica di Bacalov che non può rivaleggiare con Rota e una fotografia al solito lussuosa e non priva di smalto, Fellini offre ugualmente momenti di incanto audiovisivo, soprattutto quando rievoca l'impatto sulla platea maschile delle dive di una volta, ma il discorso sulla donna appare tutto sommato pretestuoso, degno di essere approfondito in un'opera di più ampio respiro. Mastroianni porta al film il dono di una presenza scenica sempre arguta e intelligente, per quanto sia un ruolo meno definito rispetto a quello che rivestira' qualche anno più tardi in "Ginger e Fred", e fra i caratteristi spicca la maschera di un Ettore Manni invecchiato e privo del fascino giovanile e purtroppo morto durante le riprese in un incidente che non è mai stato chiarito del tutto. Per essere uno dei film meno riusciti di un genio del cinema, "La città delle donne" ha comunque dalla sua invenzioni registiche sempre audaci e un'atmosfera surreale e a tratti funerea che resta dentro alla fine della visione.
Voto 7/10
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