Regia di Federico Fellini vedi scheda film
Il treno entra in una galleria, e per Snaporaz comincia l’incubo: messosi sulle tracce di una misteriosa signora scesa a Fregene, si ritrova prima in un albergo che ospita un convegno di femministe invasate, poi nel mausoleo neodannunziano del fallocrate Sante Katzone, infine in un’arena dove viene processato per il suo comportamento nei confronti dell’altro sesso. Alla fine si sveglia: accanto a lui c’è la moglie, ma è stato davvero tutto un sogno? Fellini sciorina in pubblico i suoi soliti incubi, quasi compiacendosi di rimestare nella zona più torbida del proprio immaginario: si può dire che il film sviluppi in senso ulteriormente patologico la sequenza di 8 1/2 con il gineceo dell’infanzia; ma lo fa in modo ormai manierato, indiscutibilmente prolisso, senza misura. Intorno a Mastroianni (impossibile immaginare un alter ego, o meglio un complice, diverso da lui) si muove una torma indistinta di femmine debordanti, prive di individualità, pure proiezioni dell’immaginario maschile, che ispirano un misto di attrazione e paura (la pescivendola della scena del luna park è una semplice variazione della tabaccaia di Amarcord): a un Fellini si può perdonare, ma lo avremmo fatto anche con Tinto Brass?
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