Regia di James Mangold vedi scheda film
Cala il sipario su uno dei personaggi più interessanti ed amati della Marvel. 17 anni dopo il primo X-Men Jackman interpreta per l'ultima volta Wolverine, alias James "Logan" Howlett, in questo film tragico, amaro, disperato ma soprattutto estremamente violento, ben oltre le consuetudini tipiche della Marvel (persino oltre Deadpool e peraltro in assenza della talvolta molesta ironia di bocca buona di quest’ultimo).
Sorta di western postmoderno on the road dai toni crepuscolari, Logan è sicuramente una sorpresa, nel panorama dei cine-comics degli ultimi anni (e la cosa si conferma anche a 5 anni dall’uscita: anni che sono stati capaci di regalarci minchiatine incredibili del genere di Black Widow, Eternals ecc.).
In un periodo di crescente omologazione in cui ogni nuovo film assomiglia sempre troppo al precedente (e persino a quelli della case concorrenti), la Marvel cerca – qui come nel già menzionato Deadpool – di staccare il genere dai binari ormai già “ben” collaudati ma soprattutto usurati dell’oper(ett)a per ragazzi, per gettarsi a capofitto in una dimensione “stranamente più adulta”, sì da proporre un qualcosa di anche solo vagamente “nuovo”, seppur non tanto dal punto di vista delle tematiche di fondo quanto piuttosto del modo in cui esse vengono trattate.
Difatti a ben vedere mai prima in un film della Casa delle Idee si era arrivati a proporre una versione talmente abbattuta, rassegnata e pessimista d’un supereroe. Mai prima si era deciso di offrire una visione così tetra e cupa del mondo, mai prima ci si era dedicati alla realizzazione di un’opera nel quale aleggiante, pregnante, sin tangibile risulta essere al dunque lo spettro di una morte imminente.
Non si tratta ovviamente del primo film di genere a tentare la “virata” in territori decisamente dark (un esempio per tutti rimane l’immarcescibile Cavaliere oscuro di Nolan) e pertanto lo spettatore, per così dire, più smaliziato avrebbe una qualche ragione di sostenere che non si tratti di conseguenza di nulla di poi tremendamente innovativo, tuttavia trattandosi per l’appunto di un film di supereroi e, in particolare, di un film della Marvel rimane una decisione in termini di toni adottati affatto scontata.
Anche solo il tentativo di creare qualcosa di più maturo e sfaccettato delle solite scazzottate un po’ cretine iper-tecnologiche stile Avengers rappresenta senza dubbio un discreto passo avanti (in realtà però relativo in quanto praticamente rinnegato in seguito dalla casa di produzione in favore dei soliti filmetti con la battutina beota sempre dietro l’angolo).
Fatto salvo tutto quanto appena riportato, c’è comunque da dire che il film di Mangold non costituisce di certo un nuovo capolavoro di genere e che l’acclamazione quasi unanime della critica d’oltreoceano è stata francamente un po’ esagerata.
Certo, è sicuramente intrigante, questo Logan, ma si perde un po’ via con il passare dei minuti e spesso scivola in una violenza parossistica ed esibita alla lunga alquanto fine a se stessa e ripetitiva, a cui pare si continui a ricorrere nell’evidente ansia di ostentare la propria distanza stilistica dagli altri film della Marvel.
Ma l’iper-violenza – com’è fin troppo ovvio – non s'afferma di per sé quale garanzia di qualità o segno di una radicale evoluzione espressiva rispetto al passato: deve essere accompagnata da una trama e una sceneggiatura solide e convincenti dal primo all’ultimo minuto. Mentre in quest’opera la mezz’ora conclusiva quasi esclusivamente dedicata a combattimenti e spargimenti di sangue vari, beh, è quanto di più risaputo, già visto e alla lunga tediante che si possa immaginare.
Si salva comunque in extremis col drammatico e coinvolgente finale che, seppur prevedibile, può essere finanche considerato coraggioso.
E, al netto dei difetti, Logan possiede in ogni caso alcuni indiscutibili punti di forza: le interpretazioni, non solo di Jackman, ma anche di Stewart, Merchant e, specialmente, della piccola e straordinaria Dafne Keen; la fotografia di J. Mathieson; il montaggio di M. McCusker e D. Westervelt e le perfette coreografie delle scene d’azione.
In conclusione, si tratta di un discreto film d’azione contiguo al dramma e al western (con tanto di citazione esplicita de Il cavaliere della valle solitaria e implicita de Gli Spietati di Eastwood), mai eccessivamente innovativo, ma apprezzabile, nonostante tutto, per il fatto stesso di aver tentato.
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