Regia di James Mangold vedi scheda film
Terzo (e realmente ultimo?) capitolo in proprio per il popolare Wolverine interpretato da Hugh Jackman. Un congedo sentito, con una credibile maturità artistica e una sensibilità decadente, senza scordarsi l’azione, mai così brutale, come fossimo al cospetto (anche) di un b-movie libero di evitare le edulcorazioni delle produzioni ad alto budget.
Il terzo, e probabilmente ultimo - almeno nelle storiche condizioni -, film dedicato a Wolverine conferma una costante progressione qualitativa, già intrapresa passando dal rozzo X-men. Le origini: Wolverine al più costruito Wolverine – L’immortale.
Confermato il regista James Mangold e stretto un accordo speciale con Hugh Jackman, autentico deus ex machina della situazione, Logan già dal titolo sembra voler indicare l’esplicita volontà di mettere a nudo il personaggio andando oltre le caratteristiche del noto mutante (l’aggiunta nel titolo del The wolverine è la classica invenzione italiana, giusto per evitare che qualcuno non arrivi a formulare il legame corretto).
Nasce così un film (nettamente) più personale, che riprende scampoli di passato per rinnovarsi, adulto fino a risultare decadente, nella carne e nello spirito, succinto nella sua brutalità quando gli artigli di adamantio scatenano l’inferno.
Anno domini 2029. Logan (Hugh Jackman) è sempre più debole e si barcamena come autista per arrivare ad avere la somma necessaria per comprare una barca con la quale trascorrere gli anni che gli restano con Charles Xavier (Patrick Stewart) lontano da tutto e tutti.
Non se la passa bene e le sue prospettive cambiano quando incrocia la strada della piccola Laura (Dafne Keen), braccata da Donald Pierce (Boyd Hoolbrok) e dai suoi uomini. Xavier lo convince a proteggerla e a intraprendere una fuga, mentre il passato della ragazzina comincia a prendere forma e intorno a loro i guai, con relativo spargimento di sangue, aumentano.
Logan è il più mutante tra i film sui mutanti, non tanto in virtù della loro presenza massiccia, quanto per il dispiegamento di più anime, alcune introdotte giustappunto per l’occasione, altre riprese dal passato (che non si cancella, per nessuno).
La vetrina non può che spettare al protagonista più noto, pietra angolare degli X-men, prima, in mezzo e dopo i vari capitoli della popolare franchigia che hanno fatto emergere il suo peso specifico al punto di veder premiati, almeno in sala, quei titoli che lo vedevano maggiormente impiegato (ad esempio, X-men. L’inizio - tra i migliori della saga - rimane il meno visto).
Logan torna appesantito, messo al tappeto (almeno per un attimo) già nella prima scena, sguardo truce e consumato, capello grigio d’ordinanza e barba ormai incolta – il make up descrive con aderenza l’inesorabile passare del tempo -, con obiettivi a corta gittata, svuotati da ogni forma d’interesse.
Uno stacco netto con il passato, per lui così come per Charles Xavier, ma presto qualcosa cambierà, deve cambiare, con una nuova causa per la quale immolarsi, per quanto nuove motivazioni siano ardue da generare, lo scetticismo sia imperante e il contorno si muova su equilibri caratteristici diversi.
Rinnovata la sempiterna lotta tra mutanti e umani, il dispositivo ideato da James Mangold e Scott Frank (Sguardo nel vuoto) diventa maturo, la narrazione predilige parole legami e argomentazioni, l’azione, di natura estremamente violenta come se fossimo in un b-movie (pure condito dallo splatter), è compressa in alcune macrosequenze che rimandano al mittente ogni forma di edulcorazione. Troviamo quindi una graduale attenzione ai rapporti, anche per una semplice quanto estemporanea amicizia di poche ore, alle anime che cercano la propria strada (magari verso una nuova forma de L’isola che non c’è per bambini speciali), per quanto la pace e la tranquillità rimangano poco più di brevi scorci, adeguati ad aprire il libro dei ricordi, prima di un nuovo sterminio che in questo modo arriva ad assumere forme dolorose.
Ciò detto, Logan non difetta nemmeno in spettacolarità, ad esempio abbiamo a disposizione la massima manifestazione dei poteri di Xavier (che, in modi differenti, richiamano le sospensioni temporali di Quicksilver), ma l’elemento scardinante è la giovanissima Laura che, con i suoi poteri e la loro origine, decreta un parallelo con la protagonista della fortunata serie Stranger Things: poche parole, una forza enorme e un carattere ancora peggio di quanto non dicano i suoi geni, per quanto le sue (re)azioni brutali siano di tutt’altra risma ed effetto (deflagrante e incontrollabile).
Dietro di lei, si muovono alcune tracce dal futuro, il classico tema per cui l’uomo si sostituisce a Dio, per fini tutt’altro che caritatevoli (bambini come armi, la realtà agguanta la scena), e fa la sua comparsa anche un romantico tributo ai fumetti, non più, e non solo, frutto di fantasia.
Tanti elementi che vanno a costituire un itinerario di sangue e morte, rassegnazione e volontà, che prevede solo poche battute sarcastiche e la costante ricerca di un equilibrio funzionale al racconto, con dettagli, anche di piccola entità, introdotti in breve per poi essere ripresi per cucire lo sviluppo.
Quello espresso da Logan è uno slancio verso il futuro (una nuova generazione alle porte?), ma soprattutto un riuscito commiato, sempre se così sarà (i soldi possono fare miracoli e flettere anche la più solida delle volontà), per Hugh Jackman dall’universo X-men con un supereroe che, oltre a fare il tanto in voga gioco di squadra (vedi varie produzioni Marvel e DC comics), funziona, pure meglio, da solo o con il giusto, non prevaricante, accompagnamento.
Se tutto ha una fine, Wolverine/Logan/Hugh Jackman merita di veder calato così il suo sipario, dopo aver dato tutto, perso altrettanto e trovato l’ultimo scampolo di energia per dare il via a un nuovo destino.
In gloria.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta