Espandi menu
cerca
Comizi d'amore

Regia di Pier Paolo Pasolini vedi scheda film

Recensioni

L'autore

cheftony

cheftony

Iscritto dal 2 marzo 2009 Vai al suo profilo
  • Seguaci 100
  • Post 6
  • Recensioni 471
  • Playlist 14
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Comizi d'amore

di cheftony
7 stelle

Io penserei che la gente o non risponde o risponde in modo falso.”

E questo per quale ragione? Per ignoranza del problema o per paura?”

Mah, lei sa che da un punto di vista psicanalitico l'ignoranza e la paura non sono due cose staccate: esiste un'ignoranza per paura, cioè esiste la… la possibilità che noi nascondiamo a noi stessi determinate cose perché ce ne difendiamo. E allora queste cose le ignoriamo. E per ciò che riguarda il sesso è proprio così.” [Dialogo con Cesare Musatti]

“Comizi d'amore”
è un documentario a sfondo sociale sui generis, mediante il quale Pasolini si propone di ritrarre le opinioni degli italiani di ogni latitudine sul sesso e sulle problematiche di genere in senso lato.

Girato un po' in tutt'Italia nel 1963, approfittando della ricerca di location per “Il Vangelo secondo Matteo”, inevitabilmente accusa l'abbondante mezzo secolo trascorso, durante il quale gli stravolgimenti di costume hanno fatto sì che si possa guardare a questo documento con tenerezza. Ma non ci si confonda: Comizi d'amore” conserva una sua attualità nel mettere alla berlina l'ignoranza e la ritrosia degli italiani nell'affrontare sinceramente la sociologia di genere, relazionale, sessuale.

 

Ecco, io direi questo: che una credenza che sia stata conquistata con l'uso della ragione e con un esatto esame della realtà è abbastanza elastica per non scandalizzarsi mai. Se invece una credenza ricevuta senza un'analisi seria delle ragioni per cui è stata ricevuta, accettata per tradizione, per… per pigrizia, per… per educazione passiva, è un conformismo.” [Alberto Moravia]

 

 

Pasolini imposta rigidamente il suo documentario, approcciando solo inizialmente degli ingenui bambini per poi suddividere le sue incalzanti interviste per ambito geografico, di genere e infine anche di classe: proprio in quest'ultimo ambito l'intellettuale dello scandalo si dimostra sbrigativo nello schematizzare le sue deduzioni, congetturando con fermezza che la vera fetta di società reticente fosse la borghesia (“il vuoto lasciato dalla borghesia italiana”), tesi che, in mancanza di dati più forti a sostegno di essa, nasconde un che di pre-concettuale.

L'urbanizzazione degli anni '50 e '60 spostava i contadini dalle campagne alle città, ma il retaggio della “cultura” agraria restava imperante, salvo poi tramutarsi solo nel corso degli anni nell'altrettanto bigotta e ipocrita visione piccolo borghese.

 

È vera l'Italia che tu hai intervistato, ma è anche vera l'altra che non si è lasciata intervistare.” [Alberto Moravia]

 

A prescindere dall'attribuzione sociale della fetta d'Italia sottrattasi all'inchiesta, pressoché nessuno degli intervistati - dallo studente borghese di Bologna al sottoproletario calabrese - offre il minimo spunto d'interesse, al di fuori di eventuali note di colore; constatare le immani e becere differenze nella percezione della propria e dell'altrui libertà sessuale fra l'uomo e la donna (tanto al nord, quanto al sud) è la cosa che più dà amarezza, forse perché questa disparità resta uno dei temi tuttora più irrisolti.

Al contrario, degne riflessioni giungono dalle parole degli intellettuali e amici di Pasolini, vale a dire Moravia e lo psicologo Musatti, che di tanto in tanto irrompono nel montato per commentare con arguzia e mirabile compostezza. Da ricordare anche il paio di minuti dedicato a Giuseppe Ungaretti, che offre un pensiero tutt'altro che banale sulla normalità, a riabilitare i tanto vituperati “invertiti”. La Fallaci, puntuta come sempre, esprime un paio di concetti francamente rivedibili, per quanto fosse materiale assai attinente alle sue inchieste di allora.

 

 

Facile giudicare col senno di poi, senz'altro, ma non sempre gli intellettuali sono i migliori interpreti del proprio tempo: lo dimostra anche Pasolini stesso nell'ultima parte di “Comizi d'amore”, in cui nelle interviste si lascia andare a considerazioni personali sulla Legge Merlin e sul divorzio, temi di cui al tempo si discuteva molto (la legge che sanciva la chiusura delle case di tolleranza risale al '58, mentre il referendum abrogativo sul divorzio si è tenuto solo nel 1974, neanche quattro anni dopo il suo inserimento nell'ordinamento giuridico); temi sui quali il buon Pier Paolo non dimostrò l'acume che gli era proprio. Ebbe a definire – ancorato ad una logica impeccabile ma non del tutto pertinente - il divorzio “un progresso falso, per cui l’italiano accetta il divorzio per le esigenze laicizzanti del potere borghese: perché chi accetta il divorzio è un buon consumatore”.

Le conclusioni finali di Pasolini, corredo di scene di un matrimonio fittizio appositamente girato, virano sul versante poetico, indorando un minimo la pillola ad ogni spettatore costretto a rabbrividire per la messa in scena della perpetua pochezza di una certa italianità.

 

Tonino e Graziella si sposano. Del loro amore sanno solo che è amore. Dei loro futuri figli sanno soltanto che saranno figli. È soprattutto quando è lieta e innocente che la vita non ha pietà. Due ragazzi italiani si sposano e in questo loro giorno tutto il male e tutto il bene precedenti ad essi sembrano annullarsi, come il ricordo della tempesta nella pace. […]

Tonino e Graziella si sposano e chi sa tace di fronte alla loro grazia che non vuole sapere. E invece il silenzio è colpevole e allora l'augurio sia: al vostro amore si aggiunga la coscienza del vostro amore.”

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati