Regia di Josef von Sternberg vedi scheda film
Splendore hollywoodiano e melting pot orientale. La vivacità poliglotta del panorama umano è una babele di ambiguità, di equivoci e di incomprensioni interculturali. Intorno alla casa da gioco gestita a Shanghai dall'avvenente Madame Gin Sling ruota un universo in cui corruzione e seduzione si incontrano in campo neutro, in un'isola fluttuante fuori dal mondo, dove le nazionalità si mescolano senza criterio, e quindi perdono automaticamente di significato. L'istinto si distilla nel lusso, ma affonda le radici in tradizioni oscure e in parte selvagge: è l'avidità di piacere lo spirito di una messa in scena in cui denaro e gioielli passano di mano oltrepassando i limiti della morale, ma mantenendosi rigorosamente entro i confini dell'eleganza. L'ambiente del casinò asiatico è un carnevale nel quale tutti i costumi, pur essendo conformi alle origini di chi li indossa, sembrano appiccicati a forza su personaggi che si sottraggono ad ogni classificazione, che cambiano nome ed interpretano una parte, attribuita loro, un po' a caso, all'interno di una grandiosa kermesse in maschera. Il locale, come recita l'insegna luminosa, è sempre aperto, e lì dentro, in effetti, il tempo si sospende: uno sfavillante presente copre le ombre di tanti passati e di tante verità sepolte che nessuno vuole rivelare. Tutti, dagli inservienti alla proprietaria, hanno qualcosa da nascondere: sono figurine fragili e provvisorie, messe insieme dal fascino dell'assenza di regole e dal miraggio di una felicità senza proibizioni. La storia è semplice, i comportamenti in parte surreali, come in una tragicommedia improvvisata, in cui i ruoli sono marcati più dall'impronta del carattere che dalle reciproche relazioni, le quali si possono d'un colpo rovesciare, come il destino di chi punta le sue fiches sul tavolo verde. La ruota gira, e trascina uomini e donne in una vertigine che è distacco dalla realtà: è l'alienazione che rende il barista russo privo di cittadinanza e che fa sì che una collana di diamanti, donata da un padre ad una figlia, sia ceduta in pegno, poi venduta, poi comprata, poi ancora regalata. In quel luogo indefinito, tutto ritorna alle origini, in maniera inaspettata, e percorrendo tortuosi cammini: il finale, in questo senso, segnerà l'ultimo giro di giostra di una vicenda in cui miseria e ricchezza smetteranno di rincorrersi, facendosi apporre l'eterno sigillo del dolore. Questo film ha lo charme datato di un raffinato noir al femminile, che si lascia tirare a lucido dai canoni estetici più classici, al di sotto dei quali, tuttavia, cerca di farsi timidamente strada lo scandalo della trasgressione. La confezione scintillante racchiude uno spunto provocatorio e rivoluzionario, che fa platealmente affiorare il marciume e l'imperfezione dal contesto patinato della bellezza ammaliatrice e dell'avventura esotica. Lo specchio dei sogni si infrange, e con esso l'illusione dell'impunità, della possibilità di trovare, negli angoli remoti della terra, un sicuro rifugio dalle proprie colpe. I misteri di Shanghai è un romanzo amaro, carico di una luce abbagliante che sa di falsità, della cupa euforia di un capodanno cinese, e del triste fulgore degli imperi coloniali.
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