Regia di King Hu vedi scheda film
Finanziato dalla Union Film Company e pubblicato nel 1971 dopo un lungo periodo di produzione durato tre anni, "A Touch of Zen" di Hu Jinquan (alias King Hu) ha sancito il successo planetario della New Wave di Hong Kong, combinando elementi che attingevano al buddismo, il femminismo conservatore e una storia di fantasmi dell'autore cinese Pu Songling. Il plot si svolge in un territorio rurale avvolto dai raggi solari, all’inizio della Dinastia Ming. La pigra esistenza quotidiana del ritrattista celibe Gu Sheng-tsai (Shih Chun) viene interrotta dall’arrivo della guerriera fuggitiva Yang Hui-zhen (Hsu Feng, magnifica), esperta in arti marziali intenta a vendicarsi in seguito alla condanna a morte di tutta la sua famiglia per mano di corrotti funzionari locali. La madre di Gu (Zhang Bingyu), vuole che il figlio ormai trentenne passi l’esame di stato e vede Yang come un'eventuale sposa. Sulle tracce della sfortunata fanciulla però sopraggiungono presto i perfidi eunuchi, responsabili della falcidia dei suoi genitori. Grazie all’aiuto del generale Shi Wen-qiao (Bai Ying), l’intervento occasionale dell’ermetico monaco Abbot (Roy Chiao) e l’abilità da stratega di Sheng-tsai, verrà tesa un’imboscata nei dintorni di un fortino che si suppone sia “infestato”. Le turbolenti battaglie si susseguiranno in una vallata limitrofa ad un monastero, ove i protagonisti fronteggeranno il malvagio comandante Hsu Hsien-Chen (Han Ying-chieh).
L'opera è divisa in due estesi atti, dall'andamento un po’ incerto nel primo segmento, ed espone un racconto ammaliante sul totalitarismo debosciato delle classi dominanti, il dominio del patriarcato e le molteplici possibilità di redenzione. Una brillante cinematografia, impregnata da riprese sfavillanti, rimarca il legame ascetico tra gli organismi viventi e la natura. Il misticismo zen, infatti, si manifesta tramite quella levità che esalta la correlazione tra i corpi e l’habitat circostante. I guerrieri si sforzano di ottenere un parallelismo, un equilibrio con la vegetazione fitta e le foreste che fanno da sfondo allo scenario, sfruttando la flessibilità e l’altezza degli steli di bambù, traendone un potere immenso. Gli scontri rappresentano una danza letale all’arma bianca, la cui fatalità non risiede soltanto nei colpi delle lame, bensì nel titanico impeto soprasensibile instillato in una loro "entità" recondita. L'ottica di Hu si posiziona dietro la flora in modo che l’angolatura panoramica dia l'mpressione di essere osservata da un occhio umano, utilizzando altresì aree di spazio aperto accennandone parsimoniosamente le insidie; la cinepresa cattura a malapena i movimenti e i salti in picchiata, costringendo l’astante a non perdere l’attenzione nel timore di lasciarsi sfuggire un dettaglio cruciale della considerevole profondità dell’immagine. Tecniche di editing quali jump-cut e eyeline-match (controcampo che basa la continuità sulla visuale corrispondente alla linea degli occhi del personaggio) fluttuano in una dimensione figurativa estasiante, avallata dalla fotografia di Hua Hui-ying, la quale accentua il contrasto fra le tenebre e la luce sfruttando il fulgore di intensi fasci balenanti attraverso la nebbia e il fumo. Non deludono nemmeno le interpretazioni; Chun conferma un talento non indifferente sia nel registro della commedia che in quello drammatico, mentre la Feng, Ying e Chiao alternano avvedutamente momenti soavi e duelli concitanti. Ancora una volta, quindi, Jinquan è in grado di fondere un’estetica sopraffina con una scrittura sagace. Un'altra rarità del noto regista wuxia da non perdere insomma.
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