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Il cittadino illustre

Regia di Gastón Duprat, Mariano Cohn vedi scheda film

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La recensione su Il cittadino illustre

di Peppe Comune
7 stelle

Daniel Mantovani (Oscar Martìnez) è uno scrittore argentino insignito del premio Nobel per la letteratura. Vive a Barcellona e non torna nel suo paese d’origine da circa 40 anni. Cinque anni dopo la prestigiosa onorificenza letteraria, e dopo aver rifiutato inviti prestigiosi da ogni parte del mondo, Mantovani decide di partire per Salas, il suo paese nativo, dove vogliono conferirgli la cittadinanza onoraria e invitarlo a dare un discorso per l’anniversario del paese. A Salas vivono ancora molte persone che lo scrittore ha conosciuto personalmente e che, in qualche modo, hanno ispirato la creazione di diversi personaggi presenti nei suoi libri . Mantovani viene accolto con tutti gli onori, ma scopre anche di aver contratto dei conti in sospeso con qualche vecchio (e nuovo) concittadino di cui non immaginava doversi confrontare. A Salas, c’è chi ne mitizza il personaggio per farne il cittadino illustre da poter esibire come un trofeo, e chi, invece, ha maturato un insano risentimento nei suoi confronti per il fatto di aver avuto successo come scrittore in Europa, pur continuando ad attingere dalle storie di vita vissuta prese in prestito da Salas.

 

scena

Il cittadino illustre (2016): scena

 

“Il cittadino illustre” del duo argentino Gastòn Duprat e Mariano Cohn è un’opera di sobria eleganza narrativa, intelligente come quei ragionamenti articolati che vale la pena seguire fino in fondo con partecipata attenzione. Il film si apre con la premiazione motivata di Daniel Mantovani all’ Accademia di Svezia. Prende poi la parola lo scrittore per il discorso di rito. “Due sensazioni contrastanti mi pervadono nel ricevere il premio Nobel per la letteratura. Da un lato, mi sento lusingato, molto lusingato. Però, dall’altro lato, e questa è l’amara sensazione che prevale alla fine in me, ho la forte convinzione che questo tipo di riconoscimento unanime è sempre direttamente ed inevitabilmente connesso al declino di un artista. Questa onorificenza rivela che la mia opera coincide con i gusti, e anche le necessità, dei giurati, degli specialisti, degli accademici e dei reali. Evidentemente, io sono l’artista più comodo per loro, e questa comodità non ha molto a che vedere con lo spirito che dovrebbe avere ogni aspetto artistico. L’artista deve domandare, deve scuotere, per questo provo disagio per la mia consacrazione finale come artista. La più persistente delle passioni umane, tuttavia, il puro orgoglio, mi spinge ora, ipocritamente, a ringraziarvi per aver provocato la fine della mia avventura creativa. Però, per favore, per questo non voglio che pensiate che sto dando la responsabilità a voi, non è affatto così. In realtà, c’è un unico responsabile. E quello sono io”. Alla fine del discorso, segue un silenzio gelido durato circa una ventina di secondi, poi applausi scroscianti con standing ovation finale. In quei venti secondi circa, a mio avviso, c’è già tutto il senso narrativo del film. In quel lasso di tempo, dal silenzio assordante agli applausi convinti, è come se il pubblico avesse voluto prendersi il tempo necessario per capire quanto era utile capire : che Mantovani non è venuto meno alla sua persona nascondendosi dietro parole di prammatica ;  che lui ha incarnato fino in fondo il suo ruolo di scrittore ; che la letteratura e la vita reale viaggiano lungo lo stesso binario, sempre molto vicine ma mai confondendo fino in fondo i rispettivi destini. Che uno scrittore può fingere quando trasla il vissuto delle persone reali nei propri libri, ma non può mai fingere di non conoscere la vita. Ne vale la sua credibilità di uomo dotato di talento creativo. L’andamento del film si mantiene su questa palese ambivalenza d’atteggiamento nei confronti di Mantovani, cosa che anche lui contribuisce ad alimentare col suo modo di essere. Soprattutto quando arriva a Salas, la fonte inesauribile dei suoi racconti, il luogo dove “i miei personaggi non erano capaci di andarsene ed io di tornare” .  Ma mentre in Svezia (o in qualsiasi altra parte del mondo) hanno acclamato l’onestà intellettuale dello scrittore, in Argentina  i concittadini di Mantovani mettono in seria discussione l’integrità morale dell’uomo. Una differenza non da poco, che dipende soprattutto dal diverso coinvolgimento emotivo che ognuno ha nei confronti dello scrittore, ovvero, tra chi può limitarsi ad apprezzare il talento dell’artista senza doversi fare domande sulla sua condotta umana, e chi, al contrario, avendo contratto delle esperienze dirette col “cittadino illustre”, può sentirsi legittimato a rendergli conto dei suoi comportamenti. Differenza che apre il film a delle riflessioni ragionate sullo stato dell’arte e sul ruolo dell’artista : da un lato, si considera che la fruizione pubblica di un’opera d’arte prescinde dalla sua genesi privata, dall’altro lato, si pone la questione sull’obbligo dell’artista di interpretare la realtà attraverso l’esercizio critico della ragione, e non di rappresentarla fedelmente nei libri sulla base di una concezione necessariamente univoca della verità. Mantovani si sente in possesso di nessuna verità rivelata e detesta sentirsi considerato come una sorta di demiurgo capace di avere una soluzione per ogni problema. Gli basta sentirsi uno scrittore che ha dato il suo contributo alla causa letteraria, di aver fornito dei punti di vista attendibili sulle vicende della grande “commedia umana”. Da qui nasce il suo ostentato snobismo, non dal sottrarsi al contatto umano a dal negarsi come supporto intellettuale, ma dal rifiuto di sentirsi considerato come un totem da mummificare in vita attraverso un premio prestigioso alla carriera o un busto celebrativo da mettere in bella mostra nella piazza principale del paese (“altri gli hanno fatto un monumento per dimenticarlo un po’ più in fretta”, cantava De Gregori in “Festival”, una canzone dedicata a Luigi Tenco). Daniel Mantovani sa di essere importante come scrittore, ma non ama che lo si prenda troppo sul serio, che lo si tratti come una star. Per questo fa di tutto per praticare rapporti orizzontali con i suoi concittadini (con il giovane portiere dell’albergo dove alloggia per esempio), non disdegnando nulla delle tante attività che gli vengono proposte (prendendo fin troppo sul serio come giurato un banalissimo concorso di pittura), finanche di tenere delle lezioni all’associazione culturale di Salas (sempre più vuota ad ogni nuovo incontro). Per questo non si sente obbligato a rispondere presente ad ogni richiesta d’aiuto, marcando una netta differenza tra il ruolo di scrittore, capace di sublimare nella letteratura esperienze di vita vissuta, e l’uomo che vorrebbe godersi tutti i sapori dei luoghi che hanno dato ispirazione alla sua creatività. Per questo si sente pronto ad affrontare ogni tipo di risentimento rinfacciatogli senza mezzi termini, a patto che non si facciano indebite e inopportune ingerenze nelle sue creazioni letterarie. Mantovani è il tipo d’uomo non ha accettato pacificamente la sua dimensione pubblica. Si ribella contro la rappresentazione che si è fatta della sua persona, contro chi ne mitizza l’opera equivocandone profondamente i contenuti e contro chi vuole farne il capo espiatorio di un provincialismo gretto e brutale. Durante un’accesa discussione, Mantovani dice di essere esso stesso “uno strumento del potere costituito”, mostrando di rammaricarsene molto. Insomma, è un personaggio affascinante Daniel Mantovani (reso ottimamente da Oscar Martìnez, premiato con la coppa Volpi a Venezia), piacevolmente antipatico anche, ricco di sfumature caratteriali messe in riga da un talento esorbitante.

Certe scelte narrative non mi hanno convinto appieno, come il rendere troppo esplicite certe accuse di “tradimento” scagliate contro lo scrittore quando, a mio avviso, sarebbe stato meglio farle rimanere all’interno di quella latente conflittualità che, chissà quanto involontariamente, si instaura tra Mantovani e il suo paese d’origine. O il carattere di certi personaggi che conducono a delle soluzioni abbastanza telefonate. Si fa del didascalismo qua e là, insomma, nulla però che inficia oltre misura la godibilità di un film di intelligente originalità, bello da vedere e da ascoltare. Consigliato vivamente.

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