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Oasis: Supersonic

Regia di Mat Whitecross vedi scheda film

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La recensione su Oasis: Supersonic

di mm40
5 stelle

Documentario sul periodo dei primi due album (1994-95) degli Oasis, da perfetti sconosciuti di Manchester a rockstar planetarie.

 

Un'ora su Definitely maybe (1994), l'album d'esordio, e un'altra su (What's the story) Morning glory?, uscito l'anno seguente: il documentario Supersonic - dal titolo del primissimo singolo della band - è costruito in maniera perfettamente speculare, partendo dalle liti fra i giovani fratelli Gallagher, anima e corpo degli Oasis, ragazzini sbandati in cerca di notorietà con il rock and roll, per chiudersi con le liti fra i fratelli Gallagher, ormai divenuti gli unici membri effettivamente intoccabili del complesso, star di fama mondiale capaci di radunare 250mila persone con un loro concerto. Sono egocentrici, boriosi, umorali, capaci di dichiarazioni shock per il semplice gusto di finire in prima pagina: se li odiate per questi motivi (o per demeriti musicali, in quanto ritenuti non del tutto a torto dei cloni pop dei Beatles), dopo la visione di Supersonic li odierete ancora di più; se al contrario li amate per canzoni divenute molto presto indimenticabili come Don't look back in anger, Live forever o Wonderwall, e per lo spirito goliardico e lo humour decisamente inglese, bè: dopo la visione di Supersonic li amerete ancora di più. In medio stat virtus: prendendo gli Oasis come fenomeno di massa e la metà degli anni Novanta come spartiacque fra un certo tipo di rock alternativo in declino (l'ondata grunge, destinata a spegnersi proprio a partire da quel 1994 che vide la morte di Cobain) e il nuovo che avanza verso il terzo millennio, lasciando correre la marea di boutade estemporanee più o meno sgradevoli vomitate dai Gallagher nel corso degli anni (e nel film ce ne sono parecchie), ecco che ci si può godere Supersonic come il racconto di una parentesi a suo modo felice della storia del rock. Un racconto ufficiale, nel quale le voci e i volti di Liam e Noel Gallagher sono ripetutamente in primo piano, ma d'altronde parziale e limitato alla fase iniziale dell'epopea della band: che stiano architettando un sequel? Chi li odia spera di no, chi li ama non aspetta altro... Buon lavoro di organizzazione e recupero del materiale, peccato solo per i toni agiografici dettati dalla supervisione dei Gallagher sul lavoro; apprezzabile comunque la regia di Mat Whitecross, già autore di Sex & drugs & rock & roll (2010), biopic su Ian Dury. 5/10.

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