Regia di Sydney Sibilia vedi scheda film
Sic et simpliciter: buone le intenzioni, insufficiente il risultato.
Creare una saga cinematografica di successo nel Belpaese è più arduo che ottenere riconoscimenti statali per la ricerca: Sydney Sibilia ci prova, iniettando nella formula del fortunato esordio, Smetto quando voglio, le minime varianti al fine di estrarne un prodotto che ne espanda l'universo (già in cantiere il terzo, definitivo capitolo). [1]
Senza grandi sforzi – che non siano mera meccanicità progettuale –, il sequel dal sottotitolo Masterclass pare un compitino eseguito con esangue attitudine creativa: fin troppo palese la programmaticità narrativa – gli eventi si incastrano tra quanto accaduto nel primo episodio e il finale dello stesso, che scopriremo essere ambientato più di un anno dopo (si “prosegue” dalla scena in carcere con Leo e la Solarino) –, banalmente sterili i richiami del capostipite, deludente (eufemismo) l'intreccio.
Una trama modesta, esilissima, alla quale non si crede mai, neppure per un secondo, e non perché non si ceda alla sospensione dell'incredulità bensì a causa di uno script strafatto di situazioni balorde e snodi ridicoli (tutto l'aspetto poliziesco-legale è di un'ingenuità, di una rozzezza, di un'approssimazione che nemmeno nelle peggiori serie de noantri).
Rimane la fighettitudine – l'inusuale estetica curata e carica di cromatismi vivaci, la simpatia diffusa e profusa, il montaggio esuberante, le scelte musicali d'effetto, il linguaggio frizzante, la portata comica virata su contrasti gustosi e toni grotteschi, l'assortimento azzeccato di facce e corpi –, ma è roba di riporto: puro e semplice atto del ripetere schem(atism)i vincenti.
Con la conseguenza, intuibile quanto gli effetti di un abuso di sostanze chimiche, che il non-più-nuovo non sorprende più e il riciclo delle idee si fa inevitabile, stantia sensazione di déjà-vu: a nulla valgono gli innesti (eccetto, in parte, l'ispettore antidroga interpretato da Greta Scarano), piantati nel corpo del film tramite le note tecniche del “reclutamento” (particolarmente patetiche le trasferte “esotiche” per aggiungere alla causa i 'cervelli in fuga' Giampaolo Morelli e Marco Bonini), compreso il guest speso sul finale (anteprima del villain della terza puntata).
Oltretutto, prevedibilmente, a una minore coesione di tenuta e ritmo – si registrano fasi di stanca riempite con verbosità eccessiva (i circa dieci minuti in più di durata certo non aiutano) – corrisponde un'inferiore capacità di penetrare nello sguardo dello spettatore, già smaliziato e meno attento (condizione tipica degli episodi “di mezzo”): nel confronto con Smetto quando voglio, in questa seconda avventura scemano altresì forza dialogica e carica ironica (poche gag e battute vanno a segno, e non basta la “fumettizzazione” dell'incidente in auto di Fresi a destare dal torpore).
Disciolte nell'acido delle tentazioni produttive (e personali), inoltre, le connotazioni di denuncia sociale – tutt'al più relegata a un paio di battute che, per dirla alla Edoardo Leo, altro non sono che discorsi «triti e ritriti» (e, d'altronde, cos'altro restava da dire?) –; ancor più imperdonabile l'aver smarrito qualsiasi senso del tragicomico.
Col triste risultato che – banale constatazione – Smetto quando voglio - Masterclass non riesca a elevarsi dall'essere un qualunque heist movie tanto ambizioso quanto fallace nel suo voler emulare ben altra produzione: il gioco tra commedia e azione è di quelli pesanti, affannosi, cui guardi con simpatia (per i “meriti acquisiti”) mista a noia.
Zoppicante infine anche il reparto attoriale: mentre cambia poco nelle dinamiche d'insieme, incomprensibile risulta il troppo spazio dato a Edoardo Leo, che con la sua naturale propensione stralunata e casinista tende a fagocitare il resto della ciurma nonché i residuali valori filmici.
Relegati a margine così i vari Pietro Sermonti, Libero De Rienzo, Valerio Aprea e Lorenzo Lavia, e persino lo strabordante Stefano Fresi, mentre sostanzialmente irrilevante si dimostra la presenza della new entry Giampaolo Morelli (nemmeno nel siparietto à la Q di James Bond funziona), l'unica a ritagliarsi una propria dimensione è Greta Scarano.
Peccato non averla saputa sfruttare di più.
Dopotutto, quello di Sibilia pare essere un cinema di maschi per cose da maschi, e quanto mostra il finale ancor più esagerato (mo' pure il terrorismo, dai) – con tanto di anticipazioni dell'ultimo capitolo, Reloaded – non lascia presagire granché di buono.
Avrebbe forse dovuto tenersi il suo unicum, il regista … Altro che Masterclass: una solenne bocciatura.
[1] Da segnalare, a proposito di espansione in senso crossmediale, l'uscita - in allegato a La Gazzetta dello Sport - del fumetto di Smetto quando voglio - Masterclass. Medesima operazione avvenuta con Lo chiamavano Jeeg Robot, in larga parte medesimo team creativo. Testo di Roberto Recchioni, disegni di Giacomo "Keison" Bevilacqua, quattro cover variant ad opera degli stessi più Riccardo Torti e Zerocalcare.
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