Quando si dice che il cerchio si chiude. Diventata di uso comune, l’espressione in questione calza a pennello al nuovo film di Peter Landesman, il quale è solo l’ultimo in ordine di tempo a essersi occupato di quello che ancora oggi è considerato lo scandalo più drammatico e documentato della storia degli Stati Uniti. Forse gli appassionati più giovani non se lo ricorderanno ma il caso Watergate scoppiò (nel 1972) a causa della scoperta di intercettazioni illegali da parte di esponenti del partito repubblicano nei confronti della parte democratica, e fu la causa delle dimissioni dell’allora presidente Richard Nixon, allorquando attraverso l’inchiesta dei giornalisti del Washington Post, Bob Woodward e Carl Bernstein, si scoprirono le prove del suo coinvolgimento nei fatti appena menzionati. Allo stesso maniera con cui The Darkest Hour si confronta con Dunkirk – ovvero raccontando gli stessi avvenimenti da una prospettiva opposta ma complementare – così The Silent Man decide di tirare fuori dagli archivi la clamorosa vicenda per raccontare chi era l’uomo e quali erano le motivazioni che spinsero il numero due dell’FBI Mark Felt a tradire il giuramento prestato per diventare l’informatore anonimo (la cosiddetta Gola profonda) che fornì ai reporter de Tutti gli uomini del presidente il materiale per venire a capo del complicato intrigo politico.
Degli anni Settanta e delle vicende più dolorose e misteriose della politica americana Landesman può essere considerato un esperto in materia avendo scritto e diretto Parkland, film che ricostruisce le ore che seguirono l’assassinio all’assassinio di John Fitzgerald Kennedy. In più, se parliamo di servizi segreti deviati e delle pericoloseinchieste giornalistiche volte a rivelarne i comportamenti, il regista è anche titolare della sceneggiatura dell’ottimo Le regole del gioco, nel quale raccontava di Gary Webb, il cronista che rivelò la collusione del governo americano con i Contras nicaraguensi e il traffico d’armi che scaturì tra le parti in causa. Rispetto a questi film The Silent Man esaspera la predilezione per un cinema più parlato che sviluppato attraverso azione e movimento, e in cui la suspence e la tensione non scaturiscono dalla concitazione degli eventi, né dall’incalzare di sparatorie e colpi di scena, piuttosto dal gioco di scacchi che si concretizza nelle stanze del potere centrale e in quelle dell’FBI che cercano di prevalere uno sull’altro. Più che la messa in scena di verità nascoste, quindi, The Silent Man racconta di esistenze vissute per interposta persona, le une all’ombra delle altre: come succede a Audrey, la moglie di Felt, disposta suo malgrado a giustificare la scarsa presenza del marito nella sua vita; allo stesso Felt, fedele servitore di J.E. Hoover anche dopo la sua morte e al Bureau nei confronti della Casa Bianca. Landesman traduce questa condizione negli interni scarsamente illuminati in cui le figure sembrano nascondersi all’occhio dell’osservatore e, nel caso del protagonista, addirittura dissimularsi sotto l’artificio di un pesante trucco. Nonostante lo sforzo di approfondire uno dei risvolti più controversi della storia degli Storia degli Stati Uniti, The Silent Man fa pesare le proprie scelte espressive per la prevedibilità drammaturgica e una sostanziale inerzia narrativa.
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