Regia di Joseph L. Mankiewicz vedi scheda film
Il film, considerato un’opera minore di Manckiewicz, nel 1950 ottenne due Oscar (miglior regia e migliore sceneggiatura non originale), e, nel decennio successivo, l’ammirazione più volte ribadita di François Truffaut, e scusate se è poco!
La vicenda è raccontata da una voce fuori campo, la misteriosa narratrice che, molto conoscendo dei fatti di cui si parlerà, mette in moto il racconto.
Si chiama Eva Ross: non ne vedremo né il volto né le fattezze, ma è lei l’amica delle tre mogli alle quali ha indirizzato una lettera crudele per avvisarle che non avrebbe partecipato né al gran ballo della sera (il primo sabato di maggio, unico evento mondano della cittadina), né alla gita fluviale degli orfanelli, per la quale era attesa in mattinata, poiché stava fuggendo lontano con l’uomo della sua vita: il marito di una di loro!
Nella prima fondamentale parte del film Eva Ross ci presenta la cittadina in cui lei come le tre amiche abitavano: piccolo centro uguale a molti altri negli Stati Uniti, collegato alla grande città da un’efficientissima ferrovia, e da una rete stradale in pieno sviluppo. Tutti si conoscono e tutti, o quasi, aspirano a migliorare la propria posizione sociale in un momento che pare favorevole all’American Dream: siamo nel 1949, poco dopo la fine della guerra, quando anche le più ottimistiche previsioni sembravano prossime ad avverarsi.
Eva Ross, alla fine del conflitto, avrebbe dovuto sposare Bill (Jeffrey Lynn), il suo vecchio fidanzato, senonché sotto le armi Bill si era innamorato della bella Barbara (Jeanne Crain), arruolata come ausiliaria, l’aveva sposata ed era rientrato con lei nella grande e prestigiosa magione appena fuori città. Eva conosceva bene anche George (Kirk Douglas), grande amico di Bill, insegnante non ricco, aspirante scrittore, marito di Rita (Ann Sothern) bella e intelligente giornalista che non avrebbe disdegnato di lavorare per la radio, arrotondando le magre entrate della famiglia, ora ingrandita per l’arrivo di due bambini.
Rita e Barbara erano diventate amiche fra loro e anche di Eva che della loro vita matrimoniale era perfettamente informata: sapeva che l’ex ottima soldatessa avvertiva tutto il peso della propria provenienza: era una ragazza di campagna che si riteneva una moglie inadeguata e goffa e anche un po’ ridicola. Allo stesso modo Eva era al corrente dei dissapori fra Rita e George, delle loro difficoltà economiche e soprattutto sapeva che l’una e l’altra erano un po’ gelose di lei…
Nella piccola città viveva anche la terza destinataria della lettera: Dorothy (la bellissima Linda Darnell), la moglie di Berto (Paul Douglas). Si erano sposati dopo un lungo corteggiamento durante il quale si erano attentamente studiati, cosicché il loro matrimonio sembrava nato dall’intrecciarsi singolare della razionalità e del desiderio. I due innegabilmente si piacevano, ma i soldi di lui (industriale produttore di frigoriferi) e l’accortezza guardinga di lei (che da lui cercava un lavoro) sembravano essere di ostacolo alla realizzazione dell’amore poiché alla fortissima attrazione reciproca entrambi parevano contrapporre mire non troppo disinteressate: un gioco a carte abbastanza scoperte, tuttavia, e perciò stesso leale, che si era concluso, nonostante la riluttanza di lui, con la consacrazione matrimoniale, grazie alla quale Dorothy era uscita dalla condizione di estrema povertà, senza permettere a lui di usarla e infine di liberarsene come di un capriccioso e costoso passatempo.
Delle tre mogli Dorothy era la più orgogliosamente sicura di sé e ostentava la massima tranquillità per il ballo della sera: il momento della verità per tutte…
La bellissima commedia, che si conclude con una sorpresa che naturalmente non rivelerò, ci mostra la profondità dei mutamenti di un genere cinematografico che aveva riscosso tradizionalmente grandi successi, sia nella forma della Sophisticated Comedy, sia nelle sue evoluzioni, prima della conclusione della guerra.
Mankiewicz costruisce, infatti, un’opera del tutto nuova, non soltanto evitando i vecchi stilemi della commedia hollywoodiana, ma soprattutto mettendo in luce gli elementi contraddittori e inquietanti della realtà americana post bellica, il più evidente dei quali è lo scontro fra denaro e cultura, da cui prende origine la riflessione critica sulla crescente invadenza della pubblicità. La presenza di due attori grandi come Kirk Douglas e Ann Sothern, attrice teatrale, conferisce accenti di moderna verità a questo aspetto del film.
Non è la sola novità del film: la questione della subalternità femminile nella famiglia e nella società che preferisce conservare i vecchi ruoli, è onnipresente e riguarda tutte e tre le mogli, per ognuna delle quali al peso per la differenza di genere si aggiungono le preoccupazioni economiche (Rita) oppure la discriminazione sociale (Barbara) o quella di classe (Dorothy), che mettono a rischio la stabilità dei rapporti di coppia.
Qualche parola, infine, per la coppia più interessante del film, resa con sublime e poetica verità da una sensualissima e placida Linda Darnell e da Paul Douglas, animati entrambi dalla vera passione che nasce dal desiderio, ma costretti a misurarsi con la meschina realtà dell’ipocrisia pettegola, che preferisce ignorare la natura dell’amore, al quale antepone il denaro e il successo mondano.
Film minore? non direi!
Nel nostro millennio Lettera a tre mogli (1949) ha ispirato una seguitissima serie televisiva dedicata alle casalinghe americane che vivono lontane dai centri urbani (Desperate Housewives, 2004), ciò che ne ha riproposto l’interesse, il restauro e la presentazione in alcune sale anche in Italia nel 2017. Ne è seguito il DVD, ancora reperibile, che contiene la versione originale sottotitolata, che ha, fra gli altri meriti, anche quello di farci sapere che i nomi e i cognomi dei protagonisti erano stati curiosamente cambiati nella versione italiana. A questi ultimi, tuttavia, faccio riferimento nella recensione.
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