Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
“I nostri rapporti con il prossimo si limitano per la maggior parte al pettegolezzo e a una sterile critica del suo comportamento. Questa constatazione mi ha lentamente portato a isolarmi dalla cosiddetta vita sociale e mondana”: nel giorno del suo massimo trionfo personale, quello che coronerà la sua brillante carriera accademica, il professor Isak Borg sa benissimo di aver trascorso un’esistenza inutile. Sa di essere un vecchio egoista, arido e anaffettivo: quando, il 1 maggio 1917, ha scoperto che la moglie lo tradiva, non ha fatto una piega; ora, rimasto vedovo da molti anni, vive con una governante più bisbetica di lui ed è tormentato da incubi angoscianti (orologi senza lancette, perché ormai il tempo per lui non conta più nulla; un severo esaminatore che gli ricorda il primo dovere di un medico: chiedere perdono). In viaggio verso Lund in compagnia della nuora, fa una serie di esperienze: visita la casa dove da ragazzo si era innamorato della cugina Sara; vede l’eterna commedia dell’amore rivivere in un terzetto di giovani autostoppisti (lei si chiama sempre Sara, ed è sempre interpretata da Bibi Andersson); si imbatte in una coppia di coniugi inaciditi, come si stanno avviando a diventare suo figlio e la moglie; passa vicino al villaggio dove nei primi tempi faceva il medico condotto e dove tutti ricordano ancora la sua generosità (“Forse avrei dovuto rimanere qui”); va a trovare la madre novantenne, dalla quale ha ereditato la durezza di carattere. Il presente e il passato si intrecciano, si confondono l’uno nell’altro; ma alla fine della giornata Borg può addormentarsi (forse) in pace. È un film che più guardo e più apprezzo, e che probabilmente comprenderò pienamente solo quando sarò vecchio; potendo scegliere, è il film che vorrei rivedere come ultima cosa prima di morire.
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