Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Il posto delle fragole è un luogo della memoria. Di una memoria benevola, lucente, legata ai giorni dell’infanzia. Quando ancora le meschinità e le infamie della vita non si sono mostrate. Un luogo di calma e pace nel quale la mente del professor Block si rifugia quando il presente si fa troppo cupo e ostile. Bergman riflette sulla vecchiaia, sull’uomo e la sua psiche, su quell’aridimento di sensazioni e umori che porta ad una inevitabile quanto triste solitudine, ad un egoismo che a volte si traveste da bonarietà. Il professor Block si mette in viaggio verso Lund per ricevere un premio per la sua carriera di dottore. Il viaggio è occasione per rivedere (sia concretamente, che metaforicamente) i luoghi del suo passato; per salutare di nuovo la madre, ma anche per degli incontri che faranno, in un certo senso, breccia nel suo cuore, portandolo alla fine a dubitare delle scelte fatte durante la sua vita. Contrapposto al ricordo c’è il sogno. Block è sempre presente nelle due dimensioni come attore/spettatore. Mentre nel ricordo c’è la dolcezza di un tempo mitico e pacifico, nel sogno sono invece i simbolismi di morte ad avere più importanza, uniti a visioni in cui si rimette in discussione l’operato del dottore stesso e tutta la sua vita. Queste due dimensioni sono come varchi che si aprono nella psiche del personaggio, varchi che portano ad una esplorazione complessa e simbolica dell’animo umano. Prima di addormentarsi, nell’ultima sequenza, il professore incontra nei suoi ricordi i genitori, in una scena di una quiete meravigliosa. Una quiete dorata. I genitori lo salutano e lui rimane a guardarli. Poi una nuova inquadratura del professore che si gira nel letto sospirando e il film finisce. Quasi a voler dire che il ricordo non potrà mai sostituire la vita non vissuta e che gli incontri che il professore ha fatto durante il suo viaggio (soprattutto quelli con i tre giovani e con la nuora) hanno veramente rimesso in discussione il significato che lui stesso aveva dato alla propria esistenza. Un significato fatto di isolamento e reclusione, di allontanamento dalle futilità della vita ma anche di rinuncia verso tutto quello che la vita (nel bene e nel male) ci dona. Un film che riesce a creare realmente altre dimensioni nel suo voler seguire il flusso dei ricordi e dei sogni, attraverso un’illuminazione che dona alle immagini l’alterità visiva propria di questi luoghi per noi così sconosciuti e familiari allo stesso tempo. I sogni e i ricordi. Luoghi dove la mente e il corpo vagano sia per scelta consapevole che per un’improvvisa chiamata. E nella persona di questo anziano signore (uno splendido Viktor Sjostrom) ci immergiamo con la nostra stessa umanità, consapevoli di quello che la vita alla fine ci riserva (la morte) e di tutto il tempo passato che alla fine nessuno ci potrà mai ridare.
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