Regia di Goffredo Alessandrini vedi scheda film
La prima parte è incredibilmente kitsch: la leggenda dell’ebreo errante, condannato a vagare in eterno per avere insultato Cristo durante la passione, viene trasferita negli anni ’30, quando il personaggio in questione (Gassman) arriva in casa di uno scienziato tedesco a cui confessa la propria disperata stanchezza, poi scompare. Più tardi lo ritroviamo ben stabilito a Parigi alla vigilia dell’invasione tedesca: si è arricchito con mezzi poco puliti e pare abbia superato le sue incertezze esistenziali (non ci era riuscito in 1900 anni, e ora glie ne sono bastati una decina?). Viene però coinvolto nelle deportazioni, e a questo punto il tono cambia decisamente: c’è una descrizione della vita nel lager che può essere considerata molto realistica rispetto ai tempi. Lo scienziato, prigioniero anche lui, viene impiccato per essersi rifiutato di collaborare a esperimenti su esseri umani; l’ebreo errante riesce a fuggire portandosi dietro la nipote di lui (Valentina Cortese), ma si riconsegna per evitare rappresaglie ai compagni: la morte lo libererà finalmente dalla condanna a vivere. Alessandrini, che sotto il fascismo aveva diretto film di propaganda, cercava probabilmente di rifarsi una verginità.
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