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Happy End

Regia di Michael Haneke vedi scheda film

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La recensione su Happy End

di Furetto60
7 stelle

Intrigante film dell'ottimo regista austriaco Haneke, non privo di difetti, ma comunque interessante e ben recitato

Le prime sequenze che aprono la pellicola, provengono dalla fotocamera di un I-phone, azionata dalla tredicenne Eve.Ci portano in una piccola gabbia, dove ad un criceto viene somministrato un farmaco antidepressivo, che ovviamente avrà esiti fatali per la bestiola,poi le immagini si spostano su  di un'inquadratura in formato normale, ripresa dalla telecamera di sorveglianza, in un lunghissimo piano sequenza, che fissa l’enorme scavo di un cantiere, mentre un muro di contenimento crolla causando la morte di un operaio immigrato e il ferimento di altri suoi colleghi.Siamo nel centro di Calais,in Francia, Il cantiere è di proprietà della famiglia Laurant, intorno alla quale ruota tutta la vicenda.La famiglia abita in una sfarzosa residenza signorile ed è formata dal vecchio nonno Georges, un irriconoscibile Jean-Louis Trintignant, il patriarca che ha fondato l’azienda ormai vecchio e malridotto, affetto a tratti da demenza senile, piuttosto disinteressato ai suoi congiunti, prova spesso a farla finita,nella generale indifferenza, poi ci sono i figli Anne, alias Isabelle Huppert, la più dinamica e attiva che ha preso in mano le redini e gestisce l’impresa famigliare, fidanzata con un ricco banchiere inglese con il quale sta negoziando un importante contratto e Thomas un medico vanesio, fedifrago ed incapace di amare qualcuno,molto preso da se e poco dagli altri , che dopo aver abbandonato moglie e figlia appunto Eve, che è costretto a tenere con sé dopo la morte della ex moglie,a seguito di un’overdose di psicofarmaci,a cui forse non è estranea la figlia, ha una nuova moglie e anche una contemporanea relazione clandestina, sgamata da Eve, che teme solo di essere spedita in un istituto,ma che tuttavia viene accolta in seno alla famiglia, poi c’è il nipote,Pierre uno scapestrato ragazzone,alcolista instabile e ribelle , la cui negligenza sul lavoro ha provocato il catastrofico incidente per cui l’azienda dovrà rispondere in tribunale l e che finisce per essere pestato dai familiari della vittima, la telecamera in questo caso si tiene a debita distanza,quasi come se avesse ritrosia a mostrare l'atto di aggressione.Nel frattempo appena fuori dal gran palazzo, orde di immigrati africani vagano per le vie della città, nell’attesa di attraversare illegalmente il tunnel della Manica

Il tono del film è piuttosto freddo,distaccato, i passaggi molto lenti,la fotografia è esteticamente pregiata,i temi trattati sono quelli classici dell’autore austriaco. I personaggi sono sostanzialmente anaffettivi e apatici, il male e la violenza che ne consegue non è esibita, ma suggerita e fatta appena intravedere, ma è come sempre centrale,nei lavori del regista austriaco, declinato fra famiglie disfunzionali, avvolte da un nichilismo esasperato, i bambini, non sono innocenti, gli adulti sono cinici, Eve a chiusura del film aiuta il nonno a suicidarsi, peraltro lo stesso nondimeno, con candore confessa , di aver aiutato la moglie a morire. Attraverso una narrazione frammentaria, Haneke prova a comporre così il mosaico di una storia familiare,tra disagi esistenziali e vizi vari, scheletri nell’armadio, che conviene lasciare lì. L’assemblaggio dei tasselli è solo parzialmente riuscito, alcune figure restano in ombra, sostanzialmente tagliate fuori dal nucleo della storia, Pierre e la madre sembrano comparse, che appaiono di tanto in tanto senza incidere,più di tanto, mentre Thomas, la piccola Eve e nonno George,sono  personaggi decisamente Hanekiani, brillano di luce propria, con un loro fascino ambiguo e oscuro. Tuttavia gli spunti di riflessione sono tanti. I social media, diventano più protagonisti degli attori stessi, in particolare i servizi di live streaming e messaggistica istantanea, che in più di un’occasione sono il mezzo attraverso cui si segue la narrazione, l’elemento fondamentale è lo schermo, quello di un cellulare, di un tablet,o di un computer. Haneke ci mostra come il monitor filtrandole, annulla le emozioni: l’uccisione del criceto o quella della madre, diventano azioni quasi normali, nel passaggio alla dimensione digitale, la realtà virtuale fa perdere la valenza emotiva, con l’inserimento di frasi, caption, emoticon. L’occhio del regista sembra voler testimoniare e stigmatizzare, l’arrivo di un nuovo livello oscuro, della realtà. La questione migranti sembra un’appendice, relegata in calce alla storia non riesce a farne parte, poco integrata al narrato, cosi come la questione umanitaria.

Film diradato, lento, a tratti perfino snervante ed estenuante, ma che malgrado questi limiti, costituisce  un’opera degna d'interesse ed originale. Recitazioni esemplari di un cast strepitoso, che non delude le aspettative.

 

 

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