Regia di Michael Haneke vedi scheda film
Haneke torna, cinque anni dopo il discusso "Amour", e allarga il discorso dalle anguste stanze di Parigi a quelle più ampie di una villa patronale di Calais, abitata da una famiglia dell'altissima borghesia francese. Se il disagio dell'anziana coppia di "Amour" era intimo e morale, qui, Haneke, è meno consolatorio, molto più amaro, disincantato. Sceglie un gruppo di attori straordinari, su tutti la Huppert, la piccola Fantine Harduin, e il grande vecchio del Cinema francese, Jean-Louis Trintignant, e viviseziona gelidamente, nel suo tipico stile, il decadimento economico e morale, che vanno di pari passo, alla luce dello smarrimento di oggi, fra la tecnologia che ci divora e la solitudine che si fa sempre più spessa e velenosa. Un racconto di classe sopraffina, fin troppo pulito e puntuto, ma è Haneke, è il suo Cinema, che riporta, fra i temi trattati, ancora quello del suicidio come risposta a una vita che non dà più alcuna speranza. C'è persino Trintignant che fa, in una scena, il trait d'union perfetto con "Amour", quasi a voler proseguire quel discorso. Bello, senz'altro, ma di ardua visione, a tratti un po' pesante, asfissiante, come quella grande villa che cresce attorno ai protagonisti, quasi a soffocarli, a renderli figure divorate dai giorni e dalle solitudini. Ma quel finale, di una luce accecante, è meraviglioso. Happy end? Non credo proprio.
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