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Happy End

Regia di Michael Haneke vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Happy End

di yume
8 stelle

E’ la banalizzazione della catastrofe, la fine della comunicazione, la defenestrazione di ogni tipo di linguaggio nella replica indefinita che ne desatura il senso.

locandina

Happy End (2017): locandina

Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo?

F. Nietzsche, La gaia scienza

 

Perché citareNietzsche? Per preparare la strada a Thomas Bernhard da cui si arriverà ad Haneke.

“Il pensare sino in fondo e in modo conseguente un oggetto, quale che esso sia, significa la dissoluzione di questo oggetto “ afferma Bernhard, cantore di quello che è stato definito “inabissamento epocale dello spirito e della storia”.

 

Intellettuali o imprenditori, spesso cultori o interpreti di musica, i personaggi di Haneke sembrano arrivare sullo schermo dalle sue pagine.

Autodecomposizione, catastrofe del senso, ogni membro della famiglia Laurent di Happy end ne è interprete per la parte che gli compete.

 

Isabelle Huppert, Jean-Louis Trintignant, Mathieu Kassovitz, Toby Jones, Laura Verlinden, Fantine Harduin

Happy End (2017): Isabelle Huppert, Jean-Louis Trintignant, Mathieu Kassovitz, Toby Jones, Laura Verlinden, Fantine Harduin

Uno dopo l’altro, al tredicesimo film Haneke procede alla dissoluzione del dispositivo cinema usando il cinema, prassi di matrice wittgensteiniana, se vogliamo cercare padri nobili.

Cio? che non si puo? dire, non si deve soprattutto tacerlo, ma scriverlo” afferma il filosofo.

Ciò che non si può dire bisogna soprattutto filmarlo, dice Haneke, e il film si dipana dagli altri come l’estremità di un lungo nastro (bianco?) teso a dire sempre la stessa cosa in modi diversi.

 

Non importa come, uno smartphone può bastare, la giovane Eve (Fantine Harduin) tredicenne anaffettiva né più né meno del vecchio nonno in carrozzella (Trintignant), fa proprio questo, filma l’incipit del film col suo cellulare. Sarà lei a cliccare il tasto stop alla fine? Forse.

Segue la storia, o meglio, quel che resta di una storia dopo che la conflagrazione del senso l’ha fatta in mille pezzi.

Noi possiamo, a mò di archeologi del linguaggio per immagini, ricomporne i frammenti, e dunque raccontare che qui si parla di una famiglia dell'alta borghesia che vive a Calais, ignara, apparentemente, di trovarsi fianco a fianco con quello che si può considerare l’ombelico dei centri d’accoglienza profughi in Europa.

 

Il vecchio padre semi-rincoglionito ha fondato un'azienda che ora è guidata dalla figlia segaligna e precocemente invecchiata (Huppert) e dal nipote (Rogowski), rampollo problematico di provata incapacità di gestire alcunchè.

 

Un grave incidente, il crollo della spalletta di un ponte con relativa frana nel cantiere stradale di cui sono titolari, ha causato una vittima. Il problema va risolto risarcendo la famiglia del morto con tanti saluti. Nessuno va in galera, tutto scorre e tutto resta come prima.

Nel frattempo, narcotizzata fino a non poterne più da farmaci antidepressivi, muore la prima moglie del figlio (Kassovitz), primario in qualche grossa clinica, passato in seconde nozze e impegnato in chat hard a tempo perso.

Tocca a lui, spiazzato quanto basta perché - dice - “non abituato ad avere figli”, portarsi in casa la figlia di tredici anni, fanciullina angelica che passa il tempo a uccidere il criceto mischiando alla pappa gli antidepressivi della madre, a filmare con lo smartphone i gesti quotidiani nella toilette di una donna di spalle, forse la madre, e a immaginare che quello che accadrà domani sarà ancora più brutto di quello che già sta accadendo oggi.

Il tutto con grande educazione e self control.

Nella villa con parco e arredi d’epoca si danno magnifiche feste con ricchi buffet e concerti di violoncello, mentre in studio il vecchio nonno propone al barbiere una ricca somma se gli procura una pistola per farla finita.

Non funziona, il povero barbiere fa una faccia degna delle comiche di Charlot e l’auto-eutanasia deve aspettare. Peccato, nel film precedente aveva provveduto lui stesso, il vecchio, ad ammazzare la moglie allo stadio finale, lo racconta alla nipotina passata a sbirciare nel suo studio.

Serve un po’ più di amour per farlo, certo.

Ora neanche il gruppetto di neri fermato per strada accetta la proposta in quella scena capolavoro, ripresa dal marciapiede di fronte, mentre in mezzo passano macchine, camion e autobus e i gesti dei protagonisti ci riportano ai fasti del muto.

Cos’altro accade nel film? Per ora può bastare, nulla, o quasi, manca al corteo grottesco di maschere guidate dalla morte che Haneke dispone sulla scena.

La classe prediletta per le sue incursioni è la buona borghesia, intendendo per buona una condizione benestante che immunizza dal bisogno e chiude in un cerchio di privilegi i suoi componenti, ma Haneke va comunque oltre, non è un discorso di classe, il suo, è di tutti noi che parla.

Oggi, ma anche ieri o domani, non c’è fuga nella Storia, forse però ci sarà un’ultima tappa, un happy end tanto ridicolo quanto inatteso e mortificante, se si pensa al grande impegno profuso per migliaia di anni dall’umanità a darsi parvenza di dignità e grandezza.

E poi basta un clic.

 

E’ la banalizzazione della catastrofe, la fine della comunicazione, la defenestrazione di ogni tipo di linguaggio nella replica indefinita che ne desatura il senso.

Quello che succede, i fatti, diventano vuoti accadimenti sui quali la mdp passa a volo d’uccello, “sorvola” in senso etimologico, e li svuota di carica emotiva.

Scrivere diversamentela storia, o altrimenti non scriverla più, questo è il problema.

 

 

www-paoladigiuseppe.it

 

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