Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film
Riuscito solo a metà, troppo corto, vago e ripetitivo. Pare quasi una parodia del cinema silenzioso/esistenzialista dello stesso Kaurismaki, a sua volta interpretabile come estremizzazione del cinema dell'incomunicabilità (Antonioni) e del viaggio fine a se stesso (Wenders). Giustamente, i film di Kaurismaki di quell'epoca (primi anni 90), ricordano anche Jarmusch, per il nitido bianco/nero e per lo humour minimalista. C'è da dire però che, nell'esporre episodicamente le grottesche vicende di questi due hippies sfigatissimi, il regista finlandese riesce da una parte a consolidare quel sincretismo fra realismo storico e dimensione universale presente in molti suoi film (dove la disoccupazione o la povertà, ad esempio, sono manifestazioni concrete di uno stato delle cose che è, prima che storico, antropologico: il film "Vita da Boheme" rende ancora meglio questo straniante mix di pessimismo storico e cosmico), dall'altra a non tradire (anzi, di riflesso, ad esaltare) la concezione inequivocabilmente "nordica" del suo cinema: nella fotografia accecante, tagliente, nei lunghi silenzi e disagi dei personaggi, nell'immersione nella fredda luce e nella maestosa natura finnica, nei suoi spazi vuoti, nel volto melanconico della Uotinen, nell'inadeguatezza della cultura hippy in un contesto come quello di una delle tante "periferie" del mondo occidentale emerge tutto un senso di angoscia esistenziale, di desolazione, di tristezza che fa pensare alle amare allegorie di un Bergman più che alle stravaganti rapsodie di un Jarmusch...Mai visto, al cinema, una rappresentazione così negativa degli euforici anni 60: la sequenza iniziale e quella finale, praticamente identiche con Valto che cuce vestiti assieme ad una madre-matrona che non parla mai, emanano un senso di solitudine ineguagliabile...peccato che la sceneggiatura sia lacunosa per gran parte del film...
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