Regia di Carlo Verdone vedi scheda film
Silvia va da suo fratello in occasione della morte della madre (era stata chiamata anche prima ma aveva di meglio da fare). Nel giro di qualche giorno gli sputtana il matrimonio, fa peggiorare le sue performance professionali e gli fa rapire un bambino che finirà appioppato a lui (insieme ad un barboncino): in senso ampio gli fa girare l'Europa per risolvere problemi che lei non ha voglia di affrontare logorandolo. Credo che quello interpretato da Ornella Muti in questo film sia uno dei personaggi femminili peggio scritti del cinema italiano di quegli anni: la caricatura di una donna forte, che si finge indipendente ma che in realtà è incapace di vivere senza parassitare gli altri, levando le tende quando la noia prende il sopravvento, del tutto inconsapevole della terra bruciata che lascia dietro di sé dopo il proprio passaggio. Il problema è che il film vorrebbe farci empatizzare con lei, mentre per tutto il tempo l'unica domanda che sorge spontanea è perché quel povero disgraziato del protagonista non le sbatta la porta in faccia una volta per tutte (non mi si può nemmeno parlare di legame fraterno, visto che viene più volte ribadito il totale menefreghismo di lei nei confronti dei familiari). Forse il peggior scivolone di Verdone nel primo ventennio abbondante di carriera: situazioni fastidiosamente grottesche che non strappano neanche mezza risata, inframezzate da venature drammatiche del tutto prive di credibilità, per un risultato complessivamente pasticciatissimo.
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