Regia di John Frankenheimer vedi scheda film
Storie di quattro piloti durante un campionato di Formula 1: il veterano francese Sarti si innamora di una giornalista che sta scrivendo una serie di servizi; l’inglese Stoddard, che è ossessionato dalla memoria del fratello morto, ha un grave incidente e viene lasciato dalla moglie per l’ americano Aron, che in cerca di rilancio si accasa con una nuova scuderia giapponese; l’italiano Barlini, giovane e scanzonato, si ritrova a sorpresa in testa alla classifica prima dell’ultimo gran premio. Tipi umani ben differenziati, e cast internazionale: c’è anche Françoise Hardy, che però non canta, e Adolfo Celi che fa Enzo Ferrari (si chiama Agostini Manetta, ma insomma è lui). Dura quasi tre ore, ma non annoia: le vicende sentimentali sono un po’ ingessate, ma le riprese delle gare (commentate dalla voce off di un invisibile radiocronista) sono altamente spettacolari. Certo, paragonato a oggi è un altro mondo: le automobili sembrano giocattolini, la loro strumentazione è rudimentale, i sistemi di sicurezza inaccettabili, la geografia limitata a pochi paesi, l’etica sportiva appartiene a un’altra epoca (far fermare un pilota a un passo dalla vittoria in segno di lutto per un compagno morto, figuriamoci); anche l’estetica è d’antan, con un tripudio di split screen. Ma la confezione lussuosa non fa dimenticare il nocciolo: i piloti sono moderni gladiatori, che affrontano la morte da soli davanti a un pubblico assetato di sangue; e il film è stato tristemente profetico, anticipando di pochi mesi il tragico incidente di Lorenzo Bandini a Montecarlo.
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