Regia di John Frankenheimer vedi scheda film
Premesso che non amo la Formula 1 (da piccolo mi piaceva parecchio, poi col tempo ho lasciato perdere senza dolori), non è certamente il miglior lavoro di John Frankenheimer, probabilmente interessato fino ad un certo punto a dirigere il traffico di questo film ad alto costo (e lunga durata) ambientato nel mondo delle corse.
Il film corre su due piste: da una parte c’è una concentrazione piuttosto evidente sull’elemento tecnico, con l’interesse focalizzato sulle macchine, sui motori, sulle scuderie e relativi intrecci; da un’altra parte c’è la rete di relazioni sentimentali dei protagonisti, dominate dalle corna. Frankenheimer è probabilmente intrigato più dall’aspetto meno scontato e meno visto al cinema, con Toshiro Mifune che si ispira al magnate Soichiro Honda o Adolfo Celi che porta un po’ di italianità nel suo Agostini Manetta (che è sostanzialmente Enzo Ferrari), e le riprese fatte direttamente nei luoghi veri (si vedono i circuiti di Montecarlo, Monza, Clermont-Ferrand, Francorchamps, Park Zandvoort, Watkins Glen, Brands Hatch) in cui corrono le varie Ferrari, McLaren e BRM (che collaborarono alla realizzazione del film).
Il filone più intimista è freddo, non coinvolge più di tanto, complici forse anche le prove poco appassionate dei divi in ballo James Garner, Eva Marie Saint e Yves Montand (che ha il ruolo più tragico). Abbonda lo split screen che fraziona lo schermo in più parti (quasi sempre due) per una narrazione più compiuta. Un kolossal anonimo perché tecnologico e rustico al contempo, d’autore ma anche commerciale, uno strano ibrido che si lascia trasportare da una robusta colonna sonora di Maurice Jarre.
Tre inevitabili Oscar tecnici (montaggio, sonoro e montaggio sonoro), ma forse l’avrebbe meritato soprattutto la splendida e nitida fotografia di Lionel Lindon.
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