Regia di James Ivory vedi scheda film
La coppia Ivory- Merchant ci regala un gioiello di struggente raffinatezza sulla solitudine, sull'incapacità di entrare in intimità con un altro essere umano ed infine sul rimpianto per una vita sacrificata al dovere, splendidamente interpretato da Hopkins e Thompson.
Nella maniero di Darlington Hall, un nobile inglese con simpatie per i nazisti nel corso degli anni ‘30 si prodiga in sforzi diplomaticiperavvicinare l’Inghilterra al Reich. Nel dopoguerra, caduto in disgrazia Lord Darlington, alla sua morte senza eredi il castello viene messo all’asta ed acquistato da un politico statunitense che era stato ospite dei suoi summit internazionali(Christopher Reeve).
Il film si dipana attraverso questi due piani temporali distanti due decenni, ma i protagonisti non sono il nobile proprietario ed i suoi illustri ospiti, bensì la servitù, alacremente occupata a portare avanti la casa e testimone silente degli eventi storici di cui questa è teatro; una classe inferiore, ma piena di dignità, portatrice di una complessità e peculiarità umana su cui si sofferma lo sguardo di Ivory, che rende così protagonisti personaggi che di solito rimangono sullo sfondo in vicende del genere, impegnati a preparare col loro lavorio incessante un impeccabile palcoscenico su cui i “grandi” inscenano i loro prestigiosi simposi.
L’impeccabile maggiordomo Mr. Stevens (Anthony Hopkins) gestisce la magione ed il suo personale con un perfezionismo e una dedizione che si profonde solamente in quella che si considera una missione di vita. Educato dalla tradizione di famiglia a mettere la soddisfazione del padrone al di sopra di ogni altra considerazione, a non far trasparire nessuna emozione e a non comunicare alcuna opinione personale (“It's none of my business, sir, to know. My business is to serve», risponde quando interrogato sul suo punto di vista) e soprattutto non contraddire mai il padrone, nemmeno quando licenzia due brave ed operose cameriere ebree dopo aver letto un testo antisemita. Esempio illuminante della sua disposizione d’animo è la modalità con cui accoglie la mortedel padre, anch’egli maggiordomo, avvenuta mentre è in corso un ricevimento a palazzo, notizia accolta con un’apparente freddezza sconcertante, mostrando una maschera scevra di ogni disperazione e preoccupata più di far procedere senza intoppi la serata degli ospiti di Lord Darlington che del lutto che lo ha appena colpito.
Tale dedizione assoluta al dovere lo porta a scegliere di trascurare ogni altra forma di realizzazionepersonale, come la cura degli affetti e la costruzione di una propria famiglia, per dedicarsi totalmente alla famiglia professionale rappresentata dai datori di lavori e dal personale da coordinare. Così, quando la governante Miss Kenton (Emma Thompson), da lui stesso assunta, cercherà di smuovere l’iimperturbabilità del maggiordomo (“Why? Why, Mr. Stevens, why do you always have to hide what you feel? “), Stevens rimane fedele alla regola per cui vanno evitate le relazioni tra il personale, altrimenti la casa va in rovina, costringendosi a reprimere le proprie emozioni piuttosto di violarla: si limiterà a vivere l’amore attraverso la segreta lettura di romanzi romantici, sfuggendo ai tentati approcci della donna pregandola di non invadere il suo spazio personale.
Quel che resta del giorno è quindi un film struggente sulla solitudine, seppur voluta, sull’incapacità di entrare in intimità con un altro essere umano ed infine sul rimpianto, con il viaggio intrapreso vent’anni dopo per rincontrare Miss Kenton e cercare di convincerla a tornare a Darlington Hall, quando ormai è troppo tardi. Il viaggio dal castello alla città costiera dove si è stabilita la Kenton rappresenta anche un modo tradivo per Mr. Stevens per entrare in contatto col mondo esterno alla prigione dorata in cui ha trascorso l’intera esistenza e rendersi conto quanto sia impopolare, nel ricordo della gente comune, il defunto Lord per cui ha sacrificato l’esistenza, da lui idolatrato come persona che era il massimo onore servire, in quanto uomo “di statura morale superiore”: un falso mito crollato con lo scoppio della guerra, di fronte alla rivelazione dei suoi errori politici e delle sue imbarazzanti complicità. A Stevens, perduta ogni tardiva speranza di recuperare il tempo e le occasioni perdute, non resta che rituffarsi nel dovere e nell’abnegazione, per servire fedelmente e con immutata professionalità il nuovo padrone americano.
Trasposizione del romanzo dell’anglo-nipponico Kazuo Ishiguro, Quel che resta del giorno è un gioiello di raffinatezza confezionato da James Ivory, regista californiano specializzato, col produttore Ismail Merchant, nel portare sul grande schermo la Vecchia Inghilterra. L’eleganza aristocratica della messinscena cinematografica è perfettamente rispecchiata dagli ambienti riccamente decorati del maniero nobiliareove è ambientata (in realtà gli interni venero girati in quattro diversi castelli inglesi, mentre lo scenografico esterno immerso nella verde campagna è Dyrham Park nel South Gloucestershire). Ma non si tratta di un pellicola che si limita al formalismo estetico : l’emozione colpisce il segno, per quanto giunga in punta di piedi sommessa e discreta, ed infine erompe nella veramente splendida,nella sua struggente raffinatezza, commovente sequenza dell’incontro vent’anni dopo dei protagonisti e dell'addio alla fermata dell’autobus.
Grandi vettori emozionali sono la recitazione trattenuta e finissima di un immenso Anthony Hopkins e la verve di Emma Thompson: i loro battibecchi sulla gestione della casa, che occultano una crescente tensione romantica, sono duetti interpretativi memorabili ed i loro ultimo colloquio è un vertice drammatico, seppur sommesso, di non-detti e di rimpianti. Nel cast, oltre al già citato Christopher Reeve, anche James Fox (Lord Darlington) e un giovane Hugh Grant (il nipote del Lord).
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