Regia di James Ivory vedi scheda film
Quadretto fatto benino dell'alta società britannica di inizio '900.
La famosa "camera con vista" ha una duplice funzione, sia narrativa sia di significato. Da un lato si configura un po' come lo specchio delle vuote convenzioni della buona società britannica di quel tempo. Vai in visita a Firenze nell'ambito del tuo tour in Italia, e allora ti devono necessariamente assegnare una camera con vista sull'Arno. Necessità, convenienze, obblighi: è una società ingessata che non ammette variazioni sul tema. L'impacciata cugina della protagonista ne è perfetta rappresentazione, con le sue esitazioni, ritrosie, perplessità. La camera con vista è però anche l'occasione per Lucy Honeychurch di conoscere Emerson, colui che diventerà l'uomo della sua vita. Emerson è il primo contatto di Lucy con l'altra metà del mondo, dove non ci sono sciocche regole imposte dall'alto da rispettare, ma è anche la presa di coscienza della sua reale natura, che non può più essere repressa. Bugie, ipocrisie, sotterfugi: in tutti i modi Lucy proverà a tenere nascosto il suo amore e la sua ribellione, sino alla catarsi conclusiva. I personaggi e la storia sono tutti dipinti con toni molto tenui, con tinte pastello. Il film manca - volutamente - di tensione drammatica: ciò che interessa non è tanto il rapporto intimo di Lucy col suo dilemma, quanto il rapporto dell'ambiente circostante con Lucy. L'incompatibilità di Lucy col suo ambiente ha una valenza solamente esteriore e produce siparietti godibili e divertenti. Il finale arriva ottimistico e telefonato, a coronamento di un'opera garbata, anche appuntita, ma mai sopra le righe.
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