Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film
Un film alla deriva, inquietante e struggente, nichilista apocalittico e stracolmo d'amore desertico... 8 1/2
Un'apocatastasi esistenziale comunista
“Zabriskie Point” segna inesorabile il punto più alto di una critica corrosiva alla modernità borghese considerata nemica dell'amore e della fraternità tra gli esseri.
Probabilmente è un film da rivedere anche in un periodo pasquale in cui ricorre la risurrezione di Cristo. Perchè se Antonioni è stato comunista, mai come in questo film lo è stato, ma in maniera più mistica che laica, più apocalittica che rivoluzionaria: una sorta di resurrezione impossibile esplosiva. E ineffetti è un'opera a tratti visionaria, che anticipa le riprese inquietanti e densamente oniriche non tanto del collega Fellini quanto piuttosto del futuro Lyinch: si pensi ad esempio all'auto che corre nel deserto, in quei luoghi più depressi degli states, guidata dalla figlia di un imprenditore alla ricerca quasi allucinata di una meditazione emancipatrice e liberatoria (libertaria), o quando sempre la stessa si ritrova in un punto di ristoro sperduto inseguita da bambini altrettanto sperduti nell'angosciante atmosfera americana.
Un'America, che così ritratta, probabilmente avrebbe sortito anche a Stalin, amante del cinema, un aprioristico diffidente shock per poi, in un momento successivo di riflessione, venire utilizzata come pellicola azzecatissima per una propaganda anticapitalistica. Ma Stalin era morto ormai da tempo, e al posto di una generazione bruciata del secondo dopoguerra, quella ancora se non fascista almeno qualunquista e violenta dei “I vinti”, ora Antonioni poteva contare su una meglio gioventù, quella del sole (compare nel finale), della contestazione, contro le guerre neoimperialistiche, per la liberazione dei neri e dei bianchi, contro il giogo poliziesco del potere consumistico.
Il film parte da qui, da questa presa diretta di un'assemblea , dove si discutono i metodi di lotta, se e come occupare l'università e quali le condizioni, anticapitaliste, per riaprirla. Ma discutere e discutere all'infinito non serve, e forse annoia, bisogna agire: così la pensa uno di loro, il protagonista, che se ne va e con un compagno acquista una rivoltella.
Durante l'occupazione effettiva però lo scontro con i poliziotti diventa pesante, e questi vengono ritratti forse un po' enfaticamente in tutta la loro virulenza e deficienza, tant'è che insultano nell'arresto un docente incaricato di storia, mentre il protagonista, di cui non ricordo il nome, all'identicazione delle sue generalita dice di chiarmarsi Marx per cognome e Carl per nome, senza che poliziotto alcuno si insospettica. I poliziotti amricani non conoscono Karl Marx, non ne hanno mai neanche sentito parlare.
Certo, in questo come in altri punti il film è frettoloso, scorretto, troppo di parte, a dispetto di un Pasolini che invece già annotava con distacco critico questa generazione consumista anticonsumista, cresciuta nelle scuole e nelle famiglie borghesi con pretese borghesemente anti-borghesi, parafascista nonostante si spacciasse per comunista. E Antonioni non lo sapeva? Lo sapeva, lo sapeva, solo che questo suo film a ben vedere è realizzato con tutto l'amore possibile per la sinistra e l'antiamericanismo, e va preso nota, secondo me, che mai e poi mai, prima di lui, di Antonioni, vi è stato il coraggio di riprendere un'America in un modo così impietoso; e già solo per questo il film meriterebbe pieni voti. Solo per questo? Beh, intanto un ritratto del genere sugli states, nel 1969, da un regista italiano, è cosa non da poco, da far venire le vertigini.
Ma il politico dura poco, o se dura assume progressivamente una virata nell'esistenziale, dimensione molto congeniale ad Antonioni: da Cronaca di un amore, L'urlo, e la Trilogia della non comunicazione, abbiamo sempre in primo piano le esistenze, stagliate su uno sfondo opaco, di paesaggi urbani e non, geometricamente fascisti, alienanti e spersonalizzanti. Anche in questo film gli sfondi geometrici delle costruzioni edili, degli interni, non mancano, come non manca il ritratto di un deserto anch'esso tutto geometrico e depresso di Zabriskie, in cui il protagonista ribelle si incontra, dopo aver rubato un areoplano privato, con la figlia dell'imprenditore. Si incontrano e si riconoscono in un amore tanto profondo imaginifico-orgiastico- mistico quanto esile, come esile è la loro esistenza, capace di slancio ma impotente a sovvertire l'esistente.
Antonioni dunque come Pasolini ma senza repulsione sa che anche questa generazione, per quanto contestataria, è vinta e avvinta nel sistema, ma non per questo non deve avere il suo momento di gloria. Di fatto il film è del 1969, non si può ancora sapere nulla delle conseguenze anche e soprattutto positive che il 68 ha consegnato alle generazioni successive e che il mondo liberista dagli anni 80 dello scoroso secolo sta ancora cercando di distruggere.
Esili esistenze, marchiate, destinate a franare, a consacrarsi in un amplesso amoroso che depone le armi, ma in un'esplosione imaginifica che resterà impressa nei cuori rossi.
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