Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film
Antonioni cuore e talento, coraggio e tocco vellutato, cultore fautore di un omaggio ad un'epoca mitizzata raccontata come il mito della rivoluzione e dell'amore libero, della contestazione dei giovani arrabbiati degli anni sessanta, attillati in abiti stretti con in testa lunghi capelli che nascondono idee chiare confuse dagli schemi dei potenti, idee confuse come grida di guerra fra le grida della guerra che seppur lontana dall'America lascia le ferite anche su chi non la fa indossando l'uniforme, non lotta in Vietnam ma combatte in strada contro i rappresentanti di chi vorrebbe nemici di qualcuno, di chi li vorrebbe nella giungla.
C'è il tempo di guardarli negli occhi e guardarsi negli occhi e subito la pulsazione dei Floyd si fa sentire come un tam tam sui primi piani strettissimi degli studenti che danno voce alla rivoluzione della confusione, idee che viaggiano sulla sinistra anche se la guida è a destra, il sinistro presagio di un mondo maldestro che fa del consumo un prodotto di consumo per manichini di plastica in mezzo al deserto, un deserto pieno di beni di consumo spiaccicati sui cartelloni come schermi che proiettano lunghe ombre sponsorizzando lattine di emozioni, metalliche ossessioni, la violenza nei bastoni e la maestria di Antonioni: siamo in viaggio da neanche un quarto d'ora e ci sentiamo pieni di una pioggia di colori dentro inquadrature scolpite in un angolo di tempo visto dal basso, di lato, obliquo di lato, obliquo di fianco, di fianco, di dietro, sopra e sotto e al di sopra di sotto, girandole tricolori, la statua della libertà che ti chiede di venire fuori e prati verdi sotto pascoli dipinti come le nuvole in un cielo azzurro che tocca il cielo azzurro e le sue nuvole pronte ad accogliere Mark e il suo cesna rosa che si allontana da tutto sulle note pungenti di Jerry Garcia mentre esegue la storica Dark Star, la stella oscura di Mark che finalmente sorvola ogni cosa con quell'aereo rubato come nella realtà fu rubato, come lo spunto nucleo del film che Antonioni ha creato allungandolo fino a Zabriskie Point.
La terra frana sotto le voci dei Floyd mentre il fiore del deserto è Daria e dall'aria viene vista da Mark, corteggiata con delle picchiate fulminee si ferma solo quando la monotonia del deserto grigio è colorata da una camicia rossa piovuta dal cielo, l'incontro fra le due bellezze è griffato da una figura cara ad Antonioni, il primo piano in sequenza che prelude alla scoperta del posto più solo e silenzioso della terra lontano dal chaos e la violenza.
Zabriskie Point è il luogo puro del pianeta, fermo nel tempo di quando era, Zabriskie Point è un film puro sulla purezza del contatto fisico sviluppato su un fiume asciutto nel deserto, l'allucinazione dell'amore libero, o meglio la visione di un incontro nel nulla e tutto ciò che segue nella pellicola è cinema che non c'è più e non si fa più.
Antonioni poteva, non molti altri ne sono capaci e il fatto che Mark Frechette e Daria Halprin non hanno in pratica altre immagini nel mondo dei film li rende ancora più emblematici, ancora più simbolici e così resteranno per sempre, non hanno bisogno di nomi, potrebbero anche essere Adamo ed Eva e Zabriskie Point il giardino dell'Eden, in tempi di rapida navigazione in un deserto telematico affollato di inutili informazioni c'è una simbiosi fra un luogo deserto, un film e una coppia di giovani amanti.
Michelangelo Antonioni, Daria Halprin e Mark Frechette a Zabriskie Point
Antonioni sapeva di non poter vincere con questo film e mentre lo faceva la sua ombra rossa fu calpestata e contestata dagli yankees, non venne ovviamente capito e incassò ben poco ma quei due coglioni che hanno scritto la classifica dei cinquanta peggiori film mettendo questo alla lettera Z dovrebbero essere abbandonati nudi e senza acqua nel deserto: Zabriskie Point vive di immagini immacolate e luminose così in cielo e così in terra per volontà fatta del maestro ferrarese e la sua classe davvero di altri tempi.
L'esecuzione finale del consumismo e la sua mostruosa presenza nel mondo si contrappone a quella brutale che il film ci ha consegnato per mano dell'America che risolve sempre tutto tirando il grilletto, se neanche il cuore del film nella valle della morte vi sembra cinema di alta scuola da mettere in bacheca non potrete mai dimenticare la villa incastrata fra le rocce che esplode sotto le note ipnotiche dei Floyd psichdelici con "Carefull with that axe Eugene" ribattezzata per l'occasione "Come in number 51 your time is up": sequenza celebrrima e surreale scaturita dallo sguardo di Daria fino ai nostri occhi con gli oggetti e le macerie sospese in aria da un rallenty epocale che li fa apparire come rifiuti che contaminano le acque del mare, celeberrima e geniale nell'esaltare l'esplosione di un televisore, di un frigorifero, di una libreria che ci appaiono in maniera totalmente diversa durante la loro disintegrazione ma è ovvio il simbolismo che esprimono.
Zabriskie Point ha un fascino tutto suo ora più di allora e viene spesso citato nei film italiani delle nuove generazioni: ne "Il Grande Blek" di Piccioni i protagonisti del film si ritrovano davanti ad un cinema che espone il manifesto di Zabriskie Point, in "Vacanze in America" di Vanzina De Sica bacchetta i suoi ragazzi "Stolidi ma ndo' credete che ve porto a Maiano Sabino.... ve sto' a portà a Zabriskie Point" e proprio li finiranno.
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