Regia di David Cronenberg vedi scheda film
L'essere mutante è il crocevia in cui la fantasia creativa incontra la devianza visionaria: la sua mostruosità è l'incarnazione del fantasma della dipendenza, dall'arte come dalla droga vera e propria. In questo senso lo scrittore è come uno scarafaggio che ama inebriarsi con l'insetticida: ed il veleno, anziché procurare la sua morte, moltiplica in maniera incontrollata la proiezione del suo ego nell'ambiente circostante. Narrare la realtà vuol dire, infatti, infestarla con la propria presenza provocatoriamente invadente e subdolamente indagatrice, camuffandosi per spiare e nascondendosi per osservare. La singolarità di questa prospettiva clandestina implica però il rischio di un personalismo eccessivo e perverso, che può metaforicamente risolversi in un trastullo masturbatorio con la macchina per scrivere. L'argomento del romanzo di Burroughs non poteva non fare presa su Cronenberg, da sempre ossessionato dall'orrore che cova nella mente per tracimare nel mondo esterno con i suoi tentacoli infernali. Purtroppo, però, questo film è molto letterario e poco cinematografico. La parola scritta prevale sull'espressività recitativa, e il simbolo ermetico sulla suggestione visiva. Le figure degli insetti sono troppo coriacee e artificiose per avere una connotazione psichica e poter aspirare alla dignità di personaggi reali o allucinatori. Nonostante la loro consistenza carnosa e sanguigna, essi non riescono ad entrare nella sostanza viva della storia, rimanendo confinati nel ruolo di suppellettili di un incubo buio e resinoso. L'errore tecnico di Cronenberg consiste, in parte, nell'aver voluto avvolgere il vuoto e la freddezza in una luce calda e ambrata, che, pur se non vivida, ricorda comunque il tepore di un fuoco appena spento. Ciò ha creato uno scollamento estetico in cui anche l'accostamento tra gli aghi e gli aculei perde di efficacia. La stessa immagine della scrittura creativa come un'entità granchiforme, che ghermisce la mente per trasportarla in una realtà parallela (la "interzona"), è gravata da un insieme di citazioni astruse che sovraccaricano, sfasciandola completamente, l'esile struttura della trama.
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