Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film
Dedicato all’affettuosa memoria di Pasquale Festa Campanile, regista migliore dei film che dirigeva e scrittore da riscoprire (suo è il romanzo all’origine del film), è il racconto di una storia umana (troppo umana?) spazzata via da un’altra storia così poco umana da diventare essa stessa umana. In altre parole, è la storia di un padre di un figlio troppo ingombrante che tra l’altro non è nemmeno sangue del suo sangue, nonostante il resto del mondo sia convinto che quel bambino nato in una grotta di Betlemme sia la dichiarazione di virilità del falegname Giuseppe.
Ad una prima parte in cui alla civiltà dell’uomo si accompagnano i bagordi sessuali di chi vuole godersi la vita scorgendola in ogni suo angolo, ne segue una seconda ben più profonda in cui si pongono al centro della scena i dubbi, i silenzi, le crisi di un uomo che è stato scelto contro la propria volontà, condannato ad essere il sottoposto di qualcuno che non si è fatto vivo se non attraverso un angelo annunciatore.
Un film complesso, che fece gridare allo scandalo alcuni benpensanti che vi hanno visto un attentato al totem cristiano, probabilmente non sempre riuscito nella difficile sintesi di commedia all’italiana (la prima sezione con gli incontri con Stefania Sandrelli, maga vogliosa), film religioso (il percorso di Maria, qui peraltro colta in una luce laica e mai blasfema) che evita accuratamente inserti posticci (l’angelo non si vede) preferendo il lato umano della vicenda (il parto della Vergine), racconto di formazione (di Giuseppe, ma anche di Maria), dramma (l’ultima parte, ma quella sequenza premonitrice delle tre croci mentre si cerca un riparo non si dimentica), ma tutto sommato denso di originalità e simpatia.
È probabilmente il film più equilibrato e maturo di Giovanni Veronesi, che si è fatto assistere in sede di sceneggiatura dall’esperto Ugo Chiti, strizzando l’occhio a Monicelli (la commedia che dissacra una storia intoccabile), a Magni (la satira sui poteri religiosi) e allo stesso Festa Campanile (si pensi al Ladrone). Diego Abatantuono sembra appena uscito da un film di Salvatores ma si approccia al personaggio con dignità e rispetto, fornendo un ritratto sfaccettato e completo, ed ha in Alessandro Haber una spalla memorabile: il suo Socrates, narratore a cui un ladro taglia la lingua, fedele servitore che sente il peso del tempo, è un personaggio struggente.
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