Regia di Patty Jenkins vedi scheda film
Nessuno vuole glorificare per forza eccessivamente i film della Marvel (che hanno i loro bei difetti), ma più la DC persiste (e insiste) in questo suo proposito di creare un proprio universo cinematografico antagonista quello della rivale di sempre, passo dopo passo invece di migliorare, finisce sempre più per far ristagnare i propri film nella melma amorfa di quei soliti due-tre cliché del genere (e che la protagonista sia una donna non fa alcuna differenza), rendendo palese come il dominio incontrastato della Casa delle Idee sia destinato a durare ancora a lungo (qualcuno potrebbe dire purtroppo, e io non mi annovero di certo tra quelli che ne gioiscono [anche perché il miglior cine-comic di sempre, ovvero Il cavaliere oscuro, l'ultima volta che ho controllato era proprio "della DC"...], ma tant'è).
Non per via di una particolare originalità (l’omologazione che rende sempre più difficile distinguere un cine-comic dall’altro alberga anche alla Marvel), ma soprattutto per una migliore (se non comunque eccezionale) conoscenza dell’arte della narrazione, e in particolare un utilizzo nettamente migliore del marketing (quello che la Marvel ha impiegato anni a costruire la DC pretende di essere in grado di farlo in metà del tempo, portando a disastri clamorosi come Batman v. Superman o Suicide Squad).
Parlando però nello specifico di Wonder Woman viene sinceramente da chiedersi da cosa sia derivata tutta la grande strombazzata mediatica che ha accompagnato il film sin dall’uscita negli USA. O meglio vien da chiedersi che film abbiamo visto la maggioranza dei recensori (americani ma non solo). Perché è sinceramente arduo (anche facendo lo sforzo più immane) rintracciare anche una sola minima avvisaglia del miglioramento così millantato che questo film apporterebbe al DC Extended Universe.
Wonder Woman è, difatti, senza tanti giri di parole, tra i peggiori cine-comics degli ultimi anni. Fin dall’inizio, durante il lungo prologo “idilliaco” ambientato a Themyscira si è in forte odore di ridicolo, per la pochezza dei dialoghi e per la banalità e la superficialità della storia. Ma, da quando compare il personaggio di Pine in poi, il film scivola veramente nella più totale ridicolaggine (quasi in un’involontaria parodia di se stesso), tra doppi sensi, battutine cretine che neanche nella peggior teen comedy anni ‘90, ingenuità continue e ambiguità urticanti
(tra una visione del mondo manichea per cui esistono solo il bianco e il nero, il Giusto e lo Sbagliato, il Bene e il Male assoluti; la continua riproposizione di una mitologia che si fa spesso esilarante e la tremenda contraddizione di una sedicente pacifista che non esita a falciare nemici a frotte senza il minimo rimorso [ma, ehi, tanto sono solo i Cattivi con la C maiuscola, a chi vuoi che importi] nonostante ella stessa sostenga per tutta la durata del film che “loro” agiscono in modo malvagio solo per via dell’influenza nefasta di Ares: che poi suoni piuttosto ridicolo, va bene, ma rimane il fatto che a crederci è lei e, allora, perché uccidere tutti quei poveretti che non sono altro che burattini soggiogati nella mani del Dio della Guerra? Non è dato saperlo).
Per non parlare poi di tutta la grande ipocrisia mediatica derivata dal presunto femminismo dell’opera. Se il nuovo ideale di “empowerment” femminile è rappresentato da un’ingenua amazzone pura e “virginale”, che mena come un uomo e si lascia andare a derive sentimentalistiche che non sono poi così lontane dalla “donna col cuore infranto” (vedi il finale), beh, allora stiamo freschi, alla faccia del progresso, dell’emancipazione e dell’autodeterminazione della donna.
E che certe “associazioni femministe” abbiano sostenuto che il film è “un punto esclamativo su quello che le donne vanno dicendo da tempo, ovvero che le nostre storie sono importanti, noi siamo le eroine delle storie, possiamo prendere a calci chi vogliamo e siamo uguali agli uomini”, lascia decisamente basiti. Perché va bene essere le protagoniste o le “eroine” di una storia, ma è ben importante anche di quale storia. E questo Wonder Woman che non si capisce in quale modo rappresenterebbe un passo avanti nella resa delle donne al cinema (ma andiamo, una storia che riguarda una donna in minigonna che si innamora perdutamente del “palestrato” di turno sarebbe un miglioramento rispetto al passato?) non appare esattamente il miglior racconto (tra l’altro scritto da uomini) da cui partire per “imporre” le istanze di uguaglianza femminile anche nel mondo dello spettacolo (ed anzi da sempre più l’idea, man mano che procedere, di un pericoloso passo indietro, di una regressione).
E che poi la misura dell'"uguaglianza" femminile sia data dal fatto che sullo schermo sia alle donne "concesso" di menar colpi peggio d'un omaccione, ovvero dal fatto che possano picchiare e, se proprio, pure umiliare gli uomini o altre donne, è un'idea sinceramente intrigante che meriterebbe la stesura di un trattato di neurologia/sociologia che si ponga l'obiettivo di analizzare le stupefacenti menti di talune femministe anglosassoni che a quanto pare non hanno ancora inteso che non ha senso definirsi né femministi né tantomeno maschilisti ma molto più "pacatamente" e sensatamente egualitaristi...
Meglio tacere, poi, del villain che fa solo ridere e del finale combattimento completamente, totalmente, assolutamente e supremamente ridicolo (con tanto di pessima CGI incorporata).
Al di là di tutto, comunque, buone la regia e la colonna sonora, e discrete le interpretazioni. E invece decisamente esagerato sia il successo di pubblico (incassa oltre 800 milioni al box-office) che di critica per un film che non lo merita e di cui è stato prontamente messo in cantiere il seguito che, con grande gubilo di noi tutti, uscirà l'anno prossimo... L'attesa si fa spasmodica:
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