Prima o poi doveva succedere e per una volta possiamo dire la DC Comics è arrivata prima della Marvel nel concepire un film di super eroi tutto al femminile. E’ successo con la versione cinematografica di “Wonder Woman” diretta da quella Patty Jenkins passata alle cronache per aver firmato il lungometraggio che ha permesso a Charlize Theron di vincere l’Oscar come miglior attrice protagonista. Ora, considerato che la Jenkins da tempo sulle scene non aveva mai lavorato su progetti come quello messo in cantiere dalla Warner Bros. prende piede l’ipotesi che la scelta di metterla a capo dell’operazione sia derivata proprio dal precedente del 2003 in cui la stessa aveva dimostrato di essere a suo agio nel trattare donne dotate di una femminilità fuori dal comune. Alla pari di “Monster” che portava sullo schermo la storia di una donna realmente esistita (la serial killer Aileen Wuornos) “Wonder Woman” seppur con la premessa di confrontarsi con un personaggio di fantasia aveva la responsabilità di mantenere a vista i riferimenti - altrettanto concreti - di un’iconografia che prima il fumetto (dove nel 1941 Wonder Woman era stata tenuta a battesimo) e poi la televisione (nella serie interpretata da Miss mondo Linda Carter) avevano contribuito a consolidare.
Supportata da Zack Snyder che, della continuity dell’universo DC è diventato il garante ( e che Wonder Woman l’aveva fatta già debuttare sullo schermo in “Superman - The Dawn of Justice) il film della Jenkins si prende la briga di raccontare la genesi della super guerriera rifacendosi alle avventure del suo creatore, quel William Moulton Marston che l’aveva immaginata a combattere i Nazisti dopo aver lasciato la comunità di Amazzoni in cui era nata e dove aveva appreso le tecniche di combattimento. Con lo spostamento dell’azione dal secondo al primo conflitto mondiale che serve al film da un lato, a evidenziare le differenze tra la personalità indipendente e volitiva della bella Diana ( istanze di un proto femminismo di cui secondo Marston l’eroina di doveva fare portatrice) con quelle remissive e calme delle donne dell’epoca, dall’altro, a porlo in essere in una maniera quasi indolore, quel tanto che basta per non disturbare troppo il popolo maschile, subito ricompensato dai fotogenici primi piani della meravigliosa GaL Gadot, la quale, chiamata a prendere il posto della Carter si produce in una performance capace di compensare i limiti espressivi con primi piani di seducente bellezza.
Sul piano del cinema invece, “Wonder Woman” cresce con il passare dei minuti passando dall’inizio, segnato da una messinscena che riproduce in maniera posticcia e con interpretazioni un po' legnose l’universo delle donne guerriere, a una parte centrale (la più riuscito del film) in cui ciò che precede lo scontro finale tra Diana e il cattivo di turno è rappresentato da una sorta di commedia rosa in cui le schermaglie tra la protagonista e la spia inglese (il “trekkiano“ Chris Pine) di cui la ragazza finisce per innamorarsi fanno da contraltare agli inserti di pura azione in cui i nostri (ai quali si uniscono una squadra di inglorious bastards tutta da ridere) si mettono alla ricerca del “diavolo” per tentare di fermarne i propositi di morte. La voglia di non prendersi del tutto sul serio unito al desiderio di far “vivere” i personaggi senza trasformare la storia nella solita esibizione di effetti speciali permettono a “Wonder Woman” di acquisire qualche punto in più rispetto alla media delle produzioni consimili.
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